Parco Archeologico Religioso CELio

Parco Archeologico Religioso CELio
".... energia rinnovabile UOMO"

domenica, settembre 21, 2025

Don Ravagnani, spot social e critiche: cosa conta per un don e per la Chiesa

@Un reel su Instagram da 450mila visualizzazioni, 8mila like e oltre 1.200 commenti: il talento di don Alberto Ravagnani come influencer da 270mila follower è indiscusso, ma la sua ultima uscita ha fatto il botto con il passaggio del 32enne sacerdote milanese autentico fenomeno social a testimonial di un integratore per chi fa vita attiva.

Don Ravagnani, spot social e critiche: cosa conta per un don e per la Chiesa© Fornito da Avvenire

Uno spot, in altre parole. E quella che era una presenza di evangelizzazione online originale ed efficace con un consenso vastissimo tra i ragazzi ha visto spuntare la nube delle critiche per un’uscita che ha deluso molti suoi “seguaci. Ha senso che un prete usi la sua notorietà pubblica per promuovere un prodotto commerciale? Don Alberto è sempre in gran forma, e sui social (che premiano l’immagine pubblica) non fa nulla per nasconderlo, con la sua passione per palestra e jogging usata – ha sempre spiegatoa fini apostolici. I ragazzi decodificano al volo il messaggio di condivisione del loro stesso stile di vita, con un effetto di immedesimazione e simpatia. Ma nel messaggio stavolta c’è un “disturbo” di troppo: il prodotto lanciato via Instagram è un’altra cosa, e molti tra gli stessi giovani che lo seguono come un riferimento spirituale, partecipando in massa ai suoi incontri in giro per l’Italia (aperti sempre dall’adorazione eucaristica) non esitano ad esprimergli con franchezza il loro dissenso: «Hai oltrepassato il limite don, un sacerdote deve fare altro»; «Stai diventando un po’ come Fedez, davvero non abbiamo bisogno di questo»; «Prossimo passo? Pubblicità durante l’omelia?». Altri però lo difendono con determinazione: «Se tutti i preti fossero come te sarei santo»; «Finalmente una chiesa dei giovani! Bravissimo». A molti critici don Alberto replica, fedele al suo stile: «Prendermi cura di me è un modo per amare me stesso e rispettare la salute che mi è stata donata; i soldi dello sponsor li uso per progetti di evangelizzazione; sii onesto intellettualmente, la preghiera non basta; pensi che un prete debba parlare solo direttamente di Dio, di Vangelo, di tradizione cristiana?»

Obiezioni e repliche – non è difficile immaginarlo – che saranno state al centro del colloquio con le autorità diocesane, nel corso del quale don Alberto ha esposto le sue ragioni e ascoltato le forti riserve sull’uso della sua popolarità per scopi commerciali, eco del divieto per i preti di «esercitare, personalmente o tramite altri, l’attività affaristica e commerciale» espresso dal Codice di Diritto canonico. Il prete dev’esserepresenza di Diotra la gente, il mercato è un’altra cosa.

La scelta di Ravagnani non sembra affatto improvvisata o presa senza calcolare cosa sarebbe accaduto. Sta di fatto che, tornando sul caso, ha tenuto il punto in una “storia” girata per le vie di Milano passando anche davanti al cantiere per il restauro di una chiesa sul quale campeggia un grande cartellone pubblicitario. La Chiesa – è la sua tesi – spesso ricorre a iniziative di raccolta fondi per le sue attività e le strutture, dalla pesca di beneficenza ai maxi-poster sui ponteggi: perché per le mie attività social, che per essere efficaci e di qualità professionale richiedono competenze, collaborazioni e strumenti costosi, non potrei raccogliere fondi, anche con la pubblicità? E a chi gli fa presente che il sacerdote non dovrebbe essere testimonial se non di Gesù Cristo, Ravagnani risponde proponendo in buona sostanza di aprire un confronto su come assicurare sostenibilità a iniziative pastorali che – nel suo caso – implicano un’esposizione della sua stessa persona, secondo il linguaggio dei social. Ma che – va detto –non dovrebbero mai mescolare la trasparenza del sacerdote con la grammatica dell’advertising.

«Sono serenissimo – assicura lui, assediato dai media –. Sto proponendo una figura di prete che va oltre i cliché sacrali per “uscire” dove la Chiesa non arriva più, tra i ragazzi per i quali il mio video non fa alcun problema. In un contesto scristianizzato, nel centro di Milano, un prete che vuole incontrare i giovani che in chiesa non si fanno più vedere perché non capiscono la sua lingua cosa deve fare?». Ravagnani pensa a «realizzare podcast per poter lanciare il messaggio del Vangelo più lontano. Quando iniziai nel 2019 a fare il prete in oratorio a Busto Arsizio non trovai quasi nessuno: i ragazzi erano tutti in un parcheggio, a farsi le canne. Ho capito che per farli tornare dovevo andare in mezzo a loro, assumendomi tutti i rischi. Sto facendo lo stesso. Se va aperta una strada nuova, quali sono i suoi confini? Voglio prendermi a cuore i “piccoli” che non hanno più nessuno, e metto di mezzo i miei talenti». Sul come ha voluto farlo si apre più di un fondato dubbio, che salta all’occhio e al cuore credente. Ma le questioni serie che don Alberto pone meritano una riflessione. E una risposta su fini e mezzi per raggiungerli, oggi.

Nessun commento: