Parco Archeologico Religioso CELio

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Seconda Ora





P.Guido Innocenzo Gargano
OSB Camaldolese

QUATTRO ORE ACCADEMICHE SU GREGORIO MAGNO
                 
                                    

Seconda Ora

Qualche osservazione introduttoria
Un testo, come quello appena letto al termine della Prima Ora, sintetizza molto bene ciò che resterà uno dei distintivi più importanti dell’ecclesiologia occidentale romana di fronte alla ecclesiologia orientale rivendicata nei Concili Ecumenici celebrati sotto la protezione degli Imperatori di Bisanzio, nei quali si proclamava sistematicamente che dottrina ortodossa fosse quella di collegare la primazialità di una sede ecclesiastica all’importanza politica e civile riconosciuta dalle leggi imperiali.
Dottrina cui si opponeva con altrettanta sistematicità, la Chiesa di Roma che insisteva invece nel fondare la primazialità, e rispettivo primato, solo a partire dal legame con la Tradizione Apostolica garantita dalla Successione Apostolica dei vescovi che presiedevano alle comunità cristiane di quegli stessi luoghi.
Questa diversa visione ecclesiologica dura fino ad oggi.  La cosiddetta synallia (collaborazione) tra Chiesa e Stato, pur percepita come ideale evangelico ottimale in Oriente, creava in realtà tantissime difficoltà già con la presenza di un Imperatore ortodosso cristiano; ma essa finiva con dimostrarsi assolutamente impossibile da perseguire quando l’autorità civile, imposta da eventi politici o militari, non era affatto ortodossa, oppure  si presentava come volutamente ostile alla Chiesa, avendo di mira la sottomissione pura e semplice  della Chiesa all’autorità dello Stato.  
Constatiamo adesso che una simile problematica fu avvertita lucidamente dall’intelligenza umana, spirituale e canonica di Gregorio Magno, quando essa era appena appena agli inizi di una storia che sarebbe andata molto lontano.
Avendo una profonda coscienza, grazie all’insegnamento di Leone Magno e dei grandi Padri di Occidente, delle radici apostoliche, e non semplicemente umane, dell’autorità trasmessa dalla Successione Apostolica, Gregorio non faceva sconti a nessuno e, massimamente se si trattava di qualcuno che intendesse far valere motivazioni di altro ordine che non fosse quello appunto della successione apostolica per fondare un qualunque tipo di autorità o autorevolezza nella Chiesa.
Così, in quanto vescovo di Roma e successore di Pietro, Gregorio sentì il dovere di essere estremamente duro nei confronti del patriarca di Costantinopoli Giovanni il Digiunatore quando, appoggiato dall’Imperatore e fondandosi su motivazioni prettamente politiche, questo Patriarca pretese di essere considerato Vescovo Ecumenico o Universale.
Tutto questo è evidente in una famosa lettera inviata da Gregorio a Giovanni il Digiunatore, patriarca di Costantinopoli con cui il Papa invita dolcemente, ma decisamente, il patriarca a non usare l’appellativo di <ecumenico>, presentandone le motivazioni.
Scrive in questa lettera Gregorio Magno:
La vostra fraternità ricorda quanta pace e quanta concordia abbia trovato tra le Chiese al tempo in cui ella è stata promossa all’onore sacerdotale. Ma non comprendo ora con quale ardimento e superbia essa ha tentato di appropriarsi di un nuovo appellativo da cui avrebbero potuto trarre scandalo i cuori dei fedeli. Ma questo mi fa grandissima meraviglia, poiché mi ricordo che avresti voluto essere fuggito perché tu potessi evitare l’episcopato. E ora che tuttavia l’hai raggiunto desideri esercitarlo come se fossi corso ad esso con desiderio ambizioso. Tu infatti, che ti dichiaravi indegno per dover essere chiamato vescovo, una volta diventato tale desideri essere <da solo> chiamato vescovo disprezzando i fratelli (ad hoc quandoque perductus es, ut, despectis fratribus, episcopus appetas solus vocari)…
Considera, ti prego, che in questa temeraria presunzione viene turbata la pace di tutta la Chiesa e si contraddice alla grazia dispensata ugualmente a tutti (gratiae contradicitur communiter omnibus effusae). In essa senza dubbio tanto potrai tu stesso crescere quanto sarai diminuito in te stesso, e tanto sarai reso più grande quanto più ti ritrarrai dall’usurpare un superbo e stolto vocabolo. Così progredirai nella misura in cui non avrai cercato di arrogarti ciò che togli ai fratelli.
Ama quindi fratello carissimo con tutto il cuore l’umiltà, mediante la quale possa essere custodita la concordia di tutti i fratelli e l’unità della Chiesa universale (Humiltatem ergo frater carissime totis visceribus dilige, per quam cunctorum fratrum concordia et sanctae universalis ecclesiae unitas valeat custodiri)…Nella disamina del Giudizio finale, che cosa risponderai a Cristo, al Capo cioè di tutta la Chiesa, tu che tenti- con l’epiteto di <universale> - di sottomettere a te stesso tutte le sue membra? (Tu qui Christo, universali scilicet ecclesiae capiti, in extremi iudicii es dicturus examine, qui cuncta eius membra tibimet conaris universalis appellatione supponere?)…
Che cosa sono infatti tutti i vescovi della Chiesa universale, se non fratelli tuoi e astri del cielo la cui vita e la cui parola risplendono tra i peccati e gli errori degli uomini come tra le tenebre della notte?...Forse che tutti i vescovi non sono nubi che mandano la pioggia con le parole della predicazione e lampeggiano con la luce delle buone opere? E mentre la fraternità tua, disprezzandoli, cerca di comprimerli sotto di sé, che cos’altro dice se non ciò che è detto dell’antico avversario: salirò oltre l’altezza delle nubi?
Mentre io piangendo osservo tutte queste cose e temo fortemente l’occulto giudizio di Dio (occulta Dei iudicia pertimesco), le lacrime sono aumentate, i gemiti non sono contenuti dal mio cuore perché quel santissimo signor Giovanni, uomo di così grande astinenza e umiltà, è montato in tanta superbia a causa della seduzione delle maldicenze dei suoi familiari che, desiderando un appellativo perverso (in appetitu perversi nominis), si sta rendendo simile a colui il quale, volendo superbamente essere uguale a Dio, aveva allontanato da sé anche  la grazia della somiglianza che gli era stata donata, perdendo la vera felicità per aver cercato una gloria falsa.
Certo Pietro, primo fra gli Apostoli, è membro della santa universale Chiesa; ma Paolo, Andrea, Giovanni, che altro sono se non capi delle singole comunità? E tuttavia essi sono tutti membra che sono legate ad un unico Capo. In realtà i santi prima della Legge, i santi sotto la Legge, i santi sotto la grazia, tutti questi – formando il corpo del Signore – sono stati costituiti come membra della Chiesa e nessuno di essi ha voluto essere chiamato <universale> (sancti ante legem, sancti sub lege, sancti sub gratia, omnes hi perficientes corpus Domini in membris sunt ecclesiae constituti, et nemo se umquam universalem vocari voluit).
La vostra santità riconosca quindi quanto si gonfi in se stessa, avendo l’ambizione di essere chiamata con quel nome col quale nessuno, veramente santo, ha presunto mai di essere chiamato.
La vostra fraternità sa certamente che furono dichiarati universali, grazie all’onore che ricevettero dal venerando Concilio di Calcedonia, i capi di questa Sede Apostolica, alla quale per disposizione di Dio io attualmente servo (Per venerandum Chalcedonense Concilium huius apostolicae sedis antistites cui Deo disponente deservio, universales oblato honore vocati sunt). E tuttavia nessuno di essi ha mai voluto essere chiamato con tale appellativo, approfittando del grado del pontificato; e nessuno si è mai arrogata una simile denominazione temeraria e una simile fama di singolarità, per non sembrare di volerla negare a tutti gli altri fratelli.
So che questa situazione è stata creata, nel vostro caso, da coloro che vi servono con una falsa deferenza o familiarità. Chiedo perciò alla vostra fraternità di vigilare con molta attenzione nei loro confronti per non lasciarsi fuorviare dalle loro lusinghe. Infatti essi vanno considerati nemici tanto più pericolosi quanto più adulano con grandi lodi.
Evita decisamente questi tali. E se proprio vogliono proseguire ad ingannare la gente, lo facciano almeno con gli uomini del mondo, ma non con le anime dei sacerdoti.   Gesù diceva: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. E anche voi dite con il Profeta: Si allontanino subito arrossendo coloro che mi dicono: Bravo! Bravo! Oppure: l’olio del peccatore, non unga il mio capo…
Sappiamo del resto che l’antico avversario, non riuscendo a corrompere un cuore ben fermo, va in cerca di persone deboli e assoggettate, per dare l’assalto a mura molto alte con scale appropriate, come fece con Adamo che conquistò utilizzando la moglie sottomessa”.[1]
Per comprendere nel modo meno superficiale possibile documenti come questo occorre ricordare alcuni eventi storici altamente significativi, che partono da molto lontano e cioè da quando l’Imperatore Diocleziano verso la fine del III secolo (intorno alla metà degli anni novanta di quel secolo), decise di dividere l’Impero Romano in due parti distinguendone una Pars Orientis e una Pars Occidentis, stabilendo anche dei confini geografici molto precisi. La divisione dell’Impero voluta da Diocleziano comportò però, per la Chiesa cristiana, conseguenze molto importanti, tra le quali il dato di fatto che, mentre nella Pars Orientis venivano a trovarsi diverse Sedes Apostolicae, nella Pars Occidentis l’unica Sedes Apostolica era Roma. Inoltre il contesto culturale in cui venivano a trovarsi le Chiese cristiane sia in Oriente che in Occidente era, a sua volta, molto significativo. In Occidente infatti l’unica lingua dominante era il latino, in Oriente oltre alla koiné greca erano utilizzate anche altre lingue autoctone delle diverse regioni con basi culturali a loro volta antiche e ricche di un patrimonio ancora molto influente nelle rispettive popolazioni. A tutto questo si aggiungeva, fin dal 333, prima parte del secolo IV, il trasferimento della capitale dell’Impero da Roma a Costantinopoli, voluta dal primo Imperatore cristiano, che non poteva non avere conseguenze molto serie anche dal punto di vista delle Istituzioni ecclesiastiche.
Queste complesse situazioni politiche e culturali ebbero ovviamente delle ripercussioni molto importanti anche all’interno della vita delle Chiese. Così, per esempio, mentre in Occidente tutte le altre chiese locali facevano riferimento all’unica Sedes Apostolica Romana, perché originate da missionari provenienti da Roma, attraverso le vie consolari o marittime tutte finalizzate a Roma – si pensi al proverbiale “tutte le strade conducono a Roma”- non altrettanto si poteva dire dell’Oriente.
Qui Antiochia, per esempio, cui faceva capo la Via della seta, si diversificava geograficamente da Alessandria cui facevano capo invece le vie che portavano nei paesi di lingua araba e nel cuore dell’Africa e dell’Oceano Indiano. Costantinopoli, situata sull’istmo de congiungeva il mare Mediterraneo col mar Nero, ma anche l’Europa all’Asia, aveva a sua volta una posizione geografica tale che le permetteva di fare da perno sia per le sterminate regioni del nord Europa, grazie ai grandi fiumi che sboccavano nel mar Nero; sia per i paesi balcani; sia infine per tutto l’entroterra europeo, attraverso il Danubio e attraverso il Dniepr cui facevano capo tutte le vie fluviali che entravano nel cuore stesso dell’Europa e della Sarmazia (Russia).
Ognuna di queste grandi città (Antiochia, Alessandria Costantinopoli) si poteva inoltre permettere di gestirsi anche in proprio senza necessario riferimento all’altra, perché ognuna delle tre aveva dietro le spalle interi continenti come l’Asia per Antiochia, l’Africa e l’Arabia per Alessandria e l’Europa per Costantinopoli.
Le rivalità sia tra le città di Oriente tra di loro, sia di quella di Costantinopoli con Roma, che comunque era e rimaneva punto di riferimento di tutto l’Occidente, furono del tutto scontate lungo i secoli e in parte sappiamo che sopravvivono tutt’ora. D’altra parte anche la Sede Romana si inseriva spesso in questo particolare conflitto, parteggiando con l’una o l’altra delle tre Sedi Apostoliche orientali nell’affrontare problemi di ordine dogmatico o semplicemente pastorali.
A complicare ulteriormente le cose si aggiunsero poi, nei secoli successivi, che esulano dal nostro argomento perché riguardano periodi diversi da quelli in cui visse papa Gregorio Magno, fenomeni storici importantissimi come le conquiste arabo-islamiche in Oriente e la scoperta delle terre nuove in Occidente e nell’estremo Oriente. Non sfugge infatti a nessuno che, proprio nei secoli durante i quali lo spazio di ciò che verrà chiamato Medio Oriente cristiano diviene sempre più un territorio islamizzato, Costantinopoli diviene sempre più importante, perché i missionari slavi che si riferiscono ad essa penetrano nelle steppe della Russia raggiungendo gli Urali e superandoli fino ai confini con l’Alaska; mentre  l’Occidente si sviluppa al Nord dell’Europa e poi oltre l’Oceano Atlantico dilagando, con la scoperta dell’America in Occidente, muovendosi oltre l’Oceano Indiano, con il periplo dell’Africa, raggiungendo l’estremo Oriente dell’Asia e, appena un po’ più tardi, il nuovo continente dell’Oceania.
Queste espansioni dell’Occidente avvennero molto tempo dopo Gregorio Magno, ma un elemento che può riguardare invece più da vicino il nostro argomento è la constatazione che le motivazioni di Gregorio Magno e della Tradizione Romana, che fondavano l’Autorità e l’Autorevolezza delle Chiese cristiane presero ulteriore forza in Occidente contro le motivazioni che, in Oriente, si fondavano unicamente su eventi legati alle situazioni politiche. E si rafforzò, ovviamente in Occidente, anche la ricerca delle basi teologiche che facevano riferimento diretto al Nuovo Testamento e alla Successione Apostolica.
Un altro elemento di estrema importanza, di carattere non solo giuridico ma, anch’esso, di valenza teologica e spirituale, fu che, mentre in Occidente la regina delle virtù ecclesiali diventava, con sempre maggiore insistenza, l’obbedienza,  e l’obbedienza a Roma in particolare, a causa della sua apostolicità (si ricordi il detto: Roma locuta causa finita!), in Oriente la regina delle virtù veniva sempre più chiaramente identificata con l’agape che si articolava in sororità in cui nulla vietava di distinguere tra sorella più grande e sorella più piccola, purché si rispettasse la pari dignità reciproca dovuta alla condivisione dell’apostolicità.
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[1] (Lettera V, 44, Gregorio a Giovanni Vescovo di Costantinopoli (1), in Gregorii Magni Opera/Opere di Gregorio Magno, V/2; Registrum Epistolarum, Lettere (IV-VII), a cura di Vincenzo Recchia, Città Nuova Editrice, Roma 1966, pp.212-219, passim).

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