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giovedì, ottobre 07, 2021

Parla l’autore del rapporto francese sugli abusi: «La Santa Sede vuole arrivare fino in fondo»

@ - Dopo tre anni di inchiesta, la Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa (CIASE) ha consegnato, il 5 ottobre 2021, un rapporto per il quale si stima che a partire dal 1950 216mila persone siano state abusate, in Francia, da chierici o religiosi.


Media ha intervistato Jean-Marc Sauvé, il presidente della CIASE, sulle relazioni tra la Chiesa in Francia e la Santa Sede in materia di lotta agli abusi sessuali. Per lui, se papa Francesco è chiaramente impegnato nella battaglia, la mancanza di fermezza di Roma su queste questioni fino all’inizio del secolo ha potuto giocare un ruolo nell’ampiezza della crisi in Francia.

Conta di venire a Roma per presentare a papa Francesco il suo rapporto?
È una possibilità sul tavolo. Siamo a disposizione del Santo Padre per incontrarlo. Vedremo quel che la Santa Sede può fare. È possibile che ci sia uno spostamento a Roma, in tempi che al momento non sono determinati.

Durante la conferenza di presentazione del rapporto, una vittima ha dichiarato che sulla questione abusi papa Francesco faceva finta di non essere in casa. 

Secondo lei papa Francesco ha presente le proporzioni della crisi nella Chiesa?

La mia impressione è che papa Francesco abbia detto e fatto cose importanti nella lotta contro gli abusi sessuali nella Chiesa. Penso in particolare alla Lettera al popolo di Dio dell’agosto 2018, e alla riunione che ha organizzato nel febbraio 2019 con i presidenti delle conferenze episcopali di tutto il mondo. Ci sono altri esempi, come la riforma del diritto canonico che entra in vigore il prossimo 8 dicembre e che è il punto di ricaduta di un lungo lavoro.

In seno alla commissione che ho presieduto non ci sono dubbi sulla volontà della Santa Sede di andare fino in fondo al problema, nonché sull’impegno di papa Francesco in merito alle questioni. Il Papa si colloca in continuità col pontificato di Benedetto XVI, che in tal senso aveva preso molte misure.

Bisogna comprendere il fatto che le vittime esprimano una grande radicalità e una forma di impazienza che possono condurre ad accuse che, da parte mia, non condivido.
Lei ha additato la miopia dei responsabili della Chiesa in Francia, in merito agli abusi sessuali, fino ai primi anni 2000. Tale passività è potuta derivare da una mancanza di fermezza da parte di Roma?

Penso di sì. Fino all’inizio degli anni 2000 la Santa Sede non è parsa estremamente attenta a tali questioni. Le prime misure sono apparse nel 2001 sotto il pontificato di Giovanni Paolo II. Il cambiamento di rotta è dunque arrivato col secolo nuovo. In Francia, quello fu il momento in cui si constatò una maggiore sensibilità su questi temi.

Si deve però osservare che anche le istituzioni civili hanno avuto un’evoluzione in quel medesimo periodo. In Francia è solo nel 1998 che il Ministero dell’Educazione Nazionale [l’omologo dell’italiano Ministero dell’Istruzione, N.d.T.] ha deciso di passare alla tolleranza zero. I due cambiamenti di rotta sono avvenuti dunque in un medesimo lasso di tempo. Il problema è che il “cambiamento di rotta” del ministero è avvenuto con una certa rapidità, e in modo asettico. Nella Chiesa le cose sono avvenute con molte più difficoltà, cosa che ha portato a ritardare l’avvio delle procedure per lottare contro gli abusi sui minori.

Negli spunti che lascia alla Chiesa in Francia c’è quello sulla riforma del Diritto canonico, ma quest’ultimo si applica alla Chiesa universale. Chiederà al Papa di prendere in considerazione lo spunto?

Siamo ben consapevoli che una riforma del Diritto canonico è una decisione che dipende dal Papa e che ha una portata universale. Per questo tipo di raccomandazioni, siamo ben consapevoli che la Conferenza dei Vescovi di Francia è fuori giurisdizione: la responsabilità è del Papa e della Santa Sede. Ho già detto che la riforma del Diritto canonico che entra in vigore l’8 dicembre va nella direzione giusta.

Nella commissione che presiedo c’è una certa quota di giuristi: io stesso sono stato vice-presidente del Consiglio di Stato in Francia. Siamo sensibili al fatto che la procedura davanti alle giurisdizioni canoniche, in materia penale, non è oggi una procedura equa. Non nel senso in cui lo si intende ad esempio nella Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. Sembrerebbe estremamente utile, per la Chiesa, che questa procedura venisse riformata.

Il semplice fatto di creare un tribunale penale inter-diocesano contribuirà a regolare molti problemi. È una misura che va anch’essa nella direzione giusta.

Sulla questione del diritto canonico, vorrei sollevare un punto molto importante: quello dell’accesso delle vittime alla procedura. In Commissione siamo stati tutti estremamente scioccati dal constatare questo – specialmente quando si considera la situazione di donne, di religiose che hanno sporto querela nella Chiesa –: i processi si sono svolti senza che le vittime fossero audite. Alla fine, apprendevano con stupore che la procedura era terminata, che una condanna era stata pronunciata senza neppure essere state informate.

Su queste faccende sono pronto a spendere tutto il necessario, in termini di argomenti, per dire che bisogna darsi una mossa.
Su iniziativa di papa Francesco, tutte le diocesi del mondo cominciano questa domenica un vasto processo sinodale sul tema della sinodalità. Per lei, che ha presieduto la CIASE e che è cattolico, vale la pena approfittare di questo sinodo per porre sul tavolo la questione della crisi degli abusi nella Chiesa e per cercare di porvi rimedio?

La Commissione pensa che la governance della Chiesa cattolica avrebbe tutto da guadagnare nell’essere riveduta, dal vertice alla base. Tra gli orientamenti che ci sembrano utili e prioritari ci sarebbe la ricerca di una migliore articolazione tra la dimensione verticale e la dimensione orizzontale, vale a dire tra la gerarchia e la sinodalità.

Noi pensiamo che un numero maggiore di delibere proteggerebbe maggiormente la Chiesa cattolica e le permetterebbe di rispondere in maniera più efficace e pertinente al problema degli abusi.

Quando una decisione viene presa in solitaria, il rischio di sbagliarsi è più grande di quando la decisione è collegiale. Ciò vale per tutti gli aspetti del governo. In seno alla Commissione, se prendo le decisioni da solo, è un metodo rapido e pratico; se ne discutiamo, però, prendiamo delle decisioni più luminose.

Pensiamo dunque che lo sviluppo della sinodalità, nonché l’associare i laici – uomini e donne – al potere decisionale nella Chiesa, sia una risposta tra le altre per un trattamento più appropriato delle violenze sessuali.

Per farle un esempio, lavorando allo spoglio degli archivi della Chiesa cattolica abbiamo scoperto che negli anni 1990 è stato operato un sotterraneo lavoro di germinazione: ci siamo resi conto che ci sono state delle donne che hanno riflettuto su questi argomenti, hanno posto domande buone e spinto i vescovi ad agire.

Avere delle persone formate e illuminate, che sentano cose che talvolta gli uomini non sentono, e associarle al processo decisionale, significa andare a prendere decisioni migliori.

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