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mercoledì, febbraio 08, 2023

La guerra ibrida contro Papa Francesco, intrisa dell’eresia donatista

@ - Tutti gli ultimi pontefici a partire da Paolo VI hanno subito critiche, a volte molto dure. Ma mai è avvenuto come nel caso di Papa Francesco, sin dall’inizio del suo ministero. Poi dopo i primi anni, la “reazione” cattolica e non, contro di lui è diventata un vento impetuoso. Ne abbiamo avuto un ultimo esempio con gli attacchi scatenati in occasione della morte di Benedetto XVI.

Attacchi violenti, concentrici, che hanno sfruttato la fine di quella che i sedevacantisti (cioè coloro che dopo la rinuncia del papa tedesco hanno sempre ritenuto Bergoglio un usurpatore, e il “vero” papa il dimissionario), consideravano una coabitazione. Attacchi così concentrici che si fa fatica a non pensare siano stati organizzati e orchestrati, come di fatto è avvenuto con la cosiddetta “guerra dei libri” (a cominciare dalle memorie pubblicate dall’ex segretario di Benedetto, l’arcivescovo Ganswein). Tanto da spingere Francesco a smentire pubblicamente il fatto che Benedetto fosse contrariato per alcune sue decisioni.

La disinformazione e il complottismo, l’uso spregiudicato dei social da parte di alcuni soggetti, hanno fatto il resto, in quella che appare una vera e propria guerra ibrida contro Francesco.

Massimo Borghesi, ordinario di Filosofia morale all’Università di Perugia, che ha pubblicato (per i tipi di Jaca Book) “Il dissidio cattolico” analizza le radici culturali, filosofiche di questi attacchi, in gran parte nordamericani e tedeschi. E i toni in gran parte barricadieri e da scontro finale intrecciati alla ideologia no vax (contraria alla chiusura delle chiese e all’impossibilità di svolgere le messe ai tempi dell’esplosione della pandemia da covid19). Interventi tutti intrisi dell’eresia donatista, la setta del vescovo Donato, contro cui si mosse Il Santo d’Ippona, cioè proprio quell’Agostino il cui simbolo della conchiglia, Benedetto XVI volle nel suo stemma. La setta dei puri, degli incontaminati all’attacco di quelli che stanno con Francesco: i (presunti) corrotti, i corruttori della tradizione e della dottrina, e i compromessi con il potere.

La figura-simbolo di questa “reazione” a Francesco è esso stesso un vescovo, l’ex Nunzio negli Stati Uniti, monsignor Carlo Maria Viganò che “combattè” aspramente contro lo stesso Benedetto (quando era Papa) e di cui sono venuti alla luce negli anni i legami con Steve Bannon e lo stesso ex presidente USA Donald Trump. Viganò è stato difeso a spada tratta mentre era all’attacco di Francesco dall’editore di Ignatius Press, peraltro gesuita, padre Joseph Fessio, che ha pubblicato alcuni libri di cardinali e non, estremamente critici contro Francesco, fino all’ultimo (2020) a doppia firma di “Benedetto XVI” e dal cardinale Robert Sarah, che è costato l’incarico di Prefetto della Casa pontificia Ganswein. Borghesi riporta anche la tesi propugnata da Fessio contro gli interventi di uno scrittore della Civiltà Cattolica (e quindi “vicino” a Papa Francesco), anche lui gesuita, molto singolare per un cattolico e ancor di più per un prete: che l’aborto sia meglio della contraccezione, perché comunque, anche se viene abortito, è stato concepito un bambino con la sua anima immortale (sic!).

Per i lettori che non sono credenti o praticanti, va ricordato che nel cuore della Liturgia eucaristica della Messa, in ogni messa che viene celebrata ogni giorno, a tutte le latitudini, il prete innalza preghiere “per il nostro Papa Francesco”, e per i vescovi e i preti in comunione con lui.

Ecco, è questa preghiera che il “dissidio cattolico” contro il Papa, contraddice e oltraggia.

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