@ Lunedì 11 agosto, giorno della festa di santa Chiara, sarà il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, a presiedere alle 11 la solenne concelebrazione nella Basilica intitolata alla fondatrice delle Sorelle povere, ad Assisi, e che, nella cripta, ne custodisce il corpo. Mentre domenica 10 agosto alle 17.30 i primi Vespri e la Messa verranno presieduti dall’arcivescovo Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno; alle 21 è poi in programma al santuario di San Damiano la veglia di preghiera nel Transito di Santa Chiara, guidata da fra Saul Tambini nel luogo dove la discepola di san Francesco si spense a sessant’anni l’11 agosto del 1253, dopo anni di malattia. Queste celebrazioni saranno trasmesse in diretta da “Maria Vision” sul canale 255 del digitale terrestre e in streaming su www.mariavision.it.
I ministri generali: «Comunità sempre più multiculturali»
Nell’ottavo centenario del cantico “Audite, Poverelle” i ministri generali dei frati minori, conventuali e cappuccini hanno indirizzato una lettera congiunta ai rispettivi rami di clarisse legati al primo ordine francescano. In “Audite sorelle” fra Massimo Fusarelli, fra Carlos Trovarelli e fra Roberto Genuin le ringraziano per la testimonianza «di vita contemplativa», la vicinanza, le «preziose preghiere». Ricordano poi come fin dall’inizio le figlie di santa Chiara appartenevano a «culture molto diverse. Assistiamo oggi con maggiore evidenza a una trasformazione dei nostri Ordini e dei vostri in comunità sempre più internazionali e multiculturali»: una diversità che «arricchisce l’espressione del carisma comune» e al tempo stesso rappresenta «una significativa sfida che ci invita a una reciproca e profonda accoglienza, integrando le nostre differenze».
Storie di clarisse. Così oggi si diventa Sorelle povere
Ma chi sono, oggi, le donne che scelgono la via del chiostro? Cosa – o Chi – le chiama a farsi Sorelle povere di Santa Chiara? E per quali vie la loro vocazione si fa incontro e accende la loro vita? Ecco due storie esemplari, ecco due voci da ascoltare: Claudia Capone e Cristina Miryam Recchia. Storie diverse: Claudia ha studiato architettura e ha lavorato nel mondo dell'arte, Cristina era impegnata nel panificio di famiglia. Claudia ha vissuto per un decennio a Roma, immersa nella vita della metropoli. Cristina è cresciuta e ha vissuto in provincia. Ecco come le loro strade hanno trovato in santa Chiara il punto di convergenza, l'incontro che cambia la vita, la soglia che apre a una vita nuova. Il denominatore comune? Per nessuna delle due, clausura e chiostro sono stati e sono fuga dal mondo. Tutt'altro.
Claudia: «Avevo tutto, ma ero inquieta. Mancava il senso della vita»
Dalla Marsica al Viterbese, passando per un decennio a Roma, prima per studio e poi per lavoro. La vita della 38enne suor Claudia Capone, sorella povera di Santa Chiara nel monastero “Santa Maria delle Grazie” a Farnese, è cambiata definitivamente nel 2017 quando ha varcato la soglia della clausura. Aveva in tasca la laurea magistrale in Architettura e quella presso l’Accademia di Belle Arti, lavorava come assistente dell’artista Maurizio Savini, aveva allestito mostre personali e collettive con le sue opere. «Fino a 27 anni sono stata lontana dalla fede e dalla Chiesa: le percepivo come qualcosa di estraneo, anacronistico e inutile. Ma nonostante avessi tutto, ero sempre inquieta perché non bastava a dare un senso vero alla mia vita e così mi sono spenta sempre di più, finché ho deciso di affrontare il vuoto che mi portavo dentro. Mi sono fermata, ho smesso di riempire quella voragine interna con la frenesia delle cose da fare e delle persone da incontrare, con l’accumulo di cose ed esperienze, ho mollato il controllo e per la prima volta ho davvero pregato Dio di aiutarmi», racconta.
«Sono emerse le paure e le ferite da cui scappavo: lì ho incontrato il Signore e ho iniziato a sentire, pensare, comportarmi in modo diverso. La preghiera, cioè coltivare il rapporto con il Dio incarnato che mi si era manifestato e mi aveva salvato dalla morte, era diventata per me essenziale», ricorda suor Claudia, che lo scorso 7 giugno ha emesso la professione solenne dei voti. L’incontro con le clarisse del borgo medievale di Farnese avviene accompagnando un’amica: «Appena ho messo piede nel chiostro, ho avuto la sensazione fortissima di “essere arrivata a casa”. Sono scoppiata in lacrime perché non riuscivo a contenere questa sensazione di pienezza e anche perché avevo paura. Ma piano piano, frequentando il monastero e le sorelle, ho scoperto che questa forma di vita mi calzava come un abito su misura. Allora ho mollato tutto e sono entrata».
Il timore era anzitutto quello di «estraniarmi completamente dal mondo e perdere contatto con la vita concreta delle persone fuori. La comunità di cui sono parte mi ha dato prova sin dall’inizio che è possibile vivere la separazione, necessaria per custodire la vita fraterna e di preghiera, senza che costituisca un muro di divisione. Non ci sentiamo dei modelli da guardare e imitare, ma delle compagne di strada che possono condividere nel profondo la condizione umana, perché vissuta in modo pasquale nella nostra carne». Poi suor Claudia si è confrontata con la sua fragilità, «che non ero disposta ad ammettere e ad assumere: vedevo bene quella degli altri, ma non la mia. Con il tempo ho accolto la mia umanità e così si può crescere nella libertà interiore». Lo insegna con la sua testimonianza sempre attuale la santa di Assisi: «Ha saputo vivere in ascolto della realtà. L’apertura di cuore, la capacità di leggere i segni dei tempi, l’ascolto dello Spirito sono tutte attitudini da maturare per incarnare anche oggi il carisma clariano in modo profetico».
Cristina: «Imputavo a Dio le ingiustizie. Lui mi ha amata come sono»
Ha varcato la soglia del monastero delle clarisse a Mola di Bari l’8 dicembre 2020, in piena pandemia da Covid19. E lo scorso 25 gennaio suor Cristina Miryam Recchia, 48 anni, ha professato i voti temporanei. Prima di entrare in clausura, in una fraternità composta da una decina di consorelle, lavorava nel panificio-pasticceria della sua famiglia ad Alberobello, dov’è nata e cresciuta. «Una vita normale divisa tra il lavoro, la passione per il ballo, tanti viaggi e amicizie», ricorda la monaca, sottolineando di aver attraversato anche «periodi di grande inquietudine in cui sentivo la nostalgia di qualcosa a cui neanche io sapevo dare un nome. Non vivevo un vero e proprio percorso di fede, anzi quella mancanza – e parte del dolore che la vita inevitabilmente ci chiede di affrontare – io la imputavo proprio a Dio: di tante ingiustizie era Lui che accusavo. Ora so che il mio era un grido di aiuto, il mio modo di pregare che trovava pace davanti a un tramonto, a un cielo stellato in cui ritrovavo la grazia di una Presenza inconsapevolmente percepita e cercata».
La scintilla è scoccata partecipando a una giornata vocazionale organizzata dai frati minori, in cui uno di loro le dice: «Hai mai pensato che quello che ti manca è la preghiera?». In realtà «il Signore da tanto tempo bussava alla porta del mio cuore ma io non rispondevo, per paura, perché non mi sentivo degna, capace: cercavo ragioni e certezze e invece Dio mi chiedeva di ascoltare il cuore, inquietudini e desideri; di questo, spesso tutti abbiamo timore». Nel discernimento durato due anni presso il monastero clariano Cristina ha intercettato «ascolto, cura, tempo donato, ma soprattutto il Signore. Era Lui ad aspettarmi e nella Parola, meditata insieme alle sorelle, ho trovato la forza di compiere questa scelta ma soprattutto una certezza: la bellezza di sentirmi amata per come sono e la grazia di essere affiancata dalle mie consorelle, terra sacra che il Signore mi ha affidato e da cui mi sento custodita, che mi hanno accompagnata a scoprire quella voce e a percepirne il richiamo… Quel cielo stellato era ed è davvero dentro di me: mi ha resa una donna più libera, più vera».
I familiari di suor Cristina Miryam, «dopo un primo momento d’incomprensione», hanno condiviso la sua scelta pur non comprendendola «fino in fondo: è stato un dono immenso del Signore; soprattutto mia madre mi ha dimostrato cos’è l’amore generativo, che lascia spazio e libertà all’altro di “essere”. Anche le mie amiche hanno continuato a essermi vicine, a sostenermi, e il Signore mi ha donato la possibilità di conoscerle ancora più in verità e in profondità, donandomi quel centuplo promesso a chi lascia tutto per ritrovare vita piena in Lui». L’augurio è che santa Chiara «insegni anche a noi oggi la gioia di generare negli altri vita vera: da Madre ha saputo fare spazio, prendere dentro di sé volti e storie per portarle nel cuore di Dio attraverso la preghiera, accompagnare cammini di fede sino a un Amore più grande, Cristo, re e Signore della sua vita».
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