P.Guido Innocenzo
Gargano
OSB Camaldolese
QUATTRO
ORE ACCADEMICHE SU GREGORIO MAGNO
Prima ora
I precedenti storici
relativi a Gregorio Magno
L’anno 476, in cui un re germanico di nome Odoacre depone e manda in pensione,
relegandolo in Campania, l’ultimo Imperatore di Occidente Romolo Augustolo, è considerato dagli storici l’anno della fine
dell’Impero romano in Occidente.
A questa data la città di Roma aveva già subìto ben tre
assedi e conquiste con relative depredazioni: La prima, da parte dei Goti di Alarico il 24 agosto 410; la seconda, da
parte del re Vandalo Genserico nel
455; la terza da Ricimero, (Suevo-Gotico
con l’aiuto dei Burgundi) nel luglio 472.
E ne aveva evitato una quarta grazie all’intervento di Papa Leone Magno che aveva avuto il
coraggio di affrontare, sul fiume Mincio, Attila
re degli Unni (che morirà nel 453) dissuadendolo dal fare altrettanto.
Ciò nonostante si deve ricordare che ci fu effettivamente anche
un quarto sacco di Roma realizzato nel 546 ad opera di un altro Totila il
quale, “avuta la città (difesa dai
bizantini) per tradimento, la diede al
saccheggio, risparmiò al possibile le vite umane, ma se ne partì verso l’Italia
meridionale soltanto dopo aver abbattuto parte delle mura e ordinato agli abitanti
di sgombrare la città, conducendo con sé come ostaggi tutti i senatori”[1].
Nello stesso volume della Treccani, appena citato, si poteva leggere
a p.750, con riferimento ai tre sacchi di Roma del V secolo, questo giudizio
riassuntivo: “Il triplice sacco di Roma,
sebbene non avesse leso, nell’insieme, la compagine monumentale della città,
portò comunque un duro colpo al suo splendore
e soprattutto, insieme con l’ormai cadente potere imperiale e civile e
col predominio barbarico, produsse lo spopolamento dell’agro e dell’Urbe,
generando quella complessa condizione politica, sociale, religiosa ed economica
con la quale effettivamente si può dire ormai spenta l’era antica e sorta l’età
medievale”...
Lo stesso articolista aggiunge: “Dal secolo VI all’XI l’esame delle condizioni topografiche di Roma non
si può dissociare dal ricordo della progressiva distruzione della città antica.
Dall’incessante mutare, quale conseguenza e quale causa, delle condizioni di
vita civile, ne derivò la trasformazione dell’Urbe”[2].
Quindi specifica: “A metà
del secolo VI (cioè ai tempi di Gregorio Magno), pur dopo le devastazioni barbariche, gli assedi ripetuti dei Bizantini
e dei Goti, i catastrofici terremoti, gli incendi, le pestilenze e le
inondazioni, lo storico Procopio ci mostra una Roma che conserva ancora nel suo
centro, nei suoi monumenti, negli ornamenti di opere d’arte, nel Foro Romano e
nei Fori imperiali, una relativa integrità, un avanzo del suo antico
splendore…Tuttavia le stesse condizioni materiali e civili, che contraevano la
vita dell’Urbe verso il centro di essa, giungono a coinvolgere anche il centro della
città dove finora non era ancora arrivato l’elemento trasformatore cristiano”[3].
Insomma si dovrà concludere che: “Tra la fine del VI secolo e l’inizio del IX secolo ci troviamo di fatto
di fronte al massimo decadimento dell’Urbe non solo edilizio ma anche politico,
economico e morale”[4].
L’effimera rinascita bizantina di Roma
Tutto ciò che abbiamo appena riassunto a proposito di Roma
conosce una pausa positiva dovuta al ritorno dei Bizantini a Roma nel 554, con
la riconquista dell’Urbe da parte del
generale bizantino Narsete il quale, in accordo con l’Imperatore
bizantino, concesse a Roma, all’interno della Pragmatica Sanctio (un particolare ordinamento dell’Italia voluto
dall’imperatore bizantino Giustiniano) “i
privilegi antichi dell’Urbe, un’assicurazione sull’annona, la restaurazione
degli edifici, e soprattutto la reintegrazione delle scuole di grammatica e di
retorica, di giurisprudenza e di medicina, mentre nel contempo il Papa veniva
riconosciuto come vescovo dell’Impero e chiamato, come tale, ad alte
responsabilità di ordine civile”[5].
Per ciò che ci riguarda, nel contesto del nostro discorso
sulla personalità e l’opera di Gregorio Magno, una tale rinascita dell’Urbe è
di enorme importanza, perché avviene negli anni di formazione umana e culturale
per cui il futuro Papa, appartenente alla nobile Gens Anicia, e di famiglia
senatoriale, sia da parte di padre che da parte di madre, poté crescere, da
patrizio romano, frequentando scuole adeguate al suo ingegno personale che gli
favorirono una maturazione tale, da permettergli, da adulto, di ricoprire
cariche civili di alto prestigio fino a raggiungere il grado di Praefectus Urbi (574?), carica che però dopo di lui sarebbe
venuta meno, insieme con la sparizione del Senato, tra gli anni 579-599[6].
A proposito di Gregorio, ormai divenuto adulto e responsabile
della cosa pubblica, sia sul piano civile che sul piano religioso, gli studiosi
sono in ogni caso unanimi nel riconoscere che “tutta la scena di Roma sullo
scorcio del secolo VI e nei primi anni del VII, è dominata dalla sua potente
figura”. Infatti constatano che Gregorio Magno: “soccorre alla città desolata dalle intemperie, dalla peste e dalla
carestia; provvede alle necessità militari contro i Longobardi di Ariulfo di Spoleto (592) e di Agilulfo (593);
intavola negoziati diretti col nemico , contrastando in questo la volontà di
Bisanzio e di Ravenna, e vede alfine esauditi i suoi voti dalla tregua, stretta
fra l’Impero e i Longobardi nel 598, e dalla politica di rinuncia inaugurata in
Italia da Foca muovo Imperatore a Bisanzio dopo l’uccisione del predecessore
Maurizio”[7]. Può
essere interessante ricordare che proprio a Foca, forse grazie anche alla pace
ritrovata, venne eretta nel 608 una colonna nel Foro Romano, che si può
ammirare ancora oggi. Ma ormai Papa Gregorio Magno era morto già da quattro
anni! (604).
Grandi personaggi ecclesiastici prima di
Gregorio
Durante tutti gli eventi drammatici ai quali ci siamo
riferiti erano emersi, in ambito ecclesiastico occidentale, figure
straordinarie - è bene ricordarlo - che portavano nomi come quello di papa
Damaso a Roma, Ambrogio a Milano, Agostino a Ippona, e soprattutto, il Papa Leone
Magno a Roma.
Ricordiamo in particolare quest’ultimo, cui fu dato il
riconoscimento di Magno, come al nostro Gregorio, perché seppe mitigare la
furia di Attila, Re degli Unni, ma anche perché ebbe un grande prestigio nella
parte Orientale dell’Impero sul piano dottrinale col suo determinante Tomus ad Flavianum, durante il Concilio
di Calcedonia nel 451.
Il riferimento a Leone Magno è importante per noi anche per
un altro fattore, che sarà ereditato totalmente da Gregorio Magno e che
potremmo sintetizzare nella consapevolezza serena, ma estremamente decisa, di avere
un potere che non derivava dalla compiacenza o meno di un Imperatore umano, ma che
riceveva la sua legittimazione direttamente da Dio, grazie alla successione di
Pietro nell’economia della Chiesa.
Una consapevolezza che, ribadita continuamente dai Papi,
avrebbe portato a conflitti tutt’altro che leggeri con gli Imperatori, ma che
serviva anche a ribadire il primato del vescovo di Roma incaricato, attraverso
la successione di Pietro, a pascere la totalità del popolo di Dio radunato
nella Chiesa, nonostante pretese più o meno insistenti di altre autorità
ecclesiastiche che potevano pensare di sostituirlo grazie al mutamento delle
situazioni politiche.
Sappiamo tutti, del resto, che il primo Millennio della
storia cristiana si aprì al secondo, in Occidente, con una lotta durissima tra
Papato e il Sacro Impero Romano Germanico, tramandato alla storia come Lotta per le investiture dei vescovi,
che ebbe il suo vertice nel confronto durissimo tra l’Imperatore e il Papato
conclusosi con l’umiliazione di Enrico IV a Canossa di fronte a Gregorio VII
nella seconda metà degli anni mille.
Concludiamo perciò questa prima ora accademica con un
brevissimo testo di Leone Magno il quale, prendendo le mosse dai due Apostoli
Pietro e Paolo, considerati fondatori o co-fondatori della Chiesa di Roma, tiene
a precisare con qualche solennità e tanta determinazione:
“Isti sunt qui te (Roma) hanc gloriam provexerunt, ut gens
sancta, populus electus, civitas sacerdotalis et regia, per sanctam Beati Petri
sedem caput orbis effecta, latius praesideres religione divina quam dominatione
terrena; quamvis enim multis aucta victoriis ius imperii terra marique
protuleris, minus tamen est quod tibi bellicus labor subdidit, quam quod pax
christiana subiecti” (Sermo 82).
Traduzione: “Sono questi coloro che ti
procurarono (o Roma) questa gloria che ti fa essere gente santa, popolo eletto,
città sacerdotale e regia, divenuta, grazie al Beato Pietro, santa e capitale
del mondo e di presiedergli, grazie ad una religione divina più che per
conquista terrena. Infatti, nonostante che tu abbia ottenuto con vittorie
(militari) il diritto di dominare ovunque, per terra e per mare, tutto ciò che
ti sei procurato con la fatica della guerra è certamente inferiore rispetto a
ciò che ha sottomesso a te la pax christiana”.
_____ooOoo_____
[1] Treccani,
volume XXIX, p.755.
[2] Ivi.
[3] Ivi.
[4] O.c., p.751.
[5] O.c., p.755.
[6] O.c., p.756.
[7] Ivi.
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