Una lettura di <Amoris Laetitia>
di Guido Innocenzo Gargano
00. I nove capitoli dell’Esortazione apostolica post sinodale sull’amore nella famiglia (LEV 2016) sono una piccola summa sulla gioia di amare a partire dall’esperienza di una famiglia cristiana comune del XXI secolo, così come essa è stata vissuta da un papa arrivato a Roma “dalla fine del mondo”, ma con un valore aggiunto: quello di due Sinodi di Vescovi provenienti dal mondo intero e quello di esperti, arricchiti da alcune coppie cristiane che hanno informato e formato George Bergoglio nel corso di alcuni mesi. Molti si sarebbero augurati che quest’ultimo gruppo avrebbe potuto essere molto più consistente, dal momento che si trattava soprattutto di loro. Ciò nonostante Francesco ha potuto trovare nella finale Relatio Synodi ampio materiale su cui riflettere prima di comporre questa sua Esortazione sinodale.
0.1 Il Documento
sembrerebbe diretto anzitutto alla gerarchia cattolica e ai “fedeli laici”, ma ciò non esclude l’augurio
che il papa fa a se stesso e alla Chiesa che esso venga letto con simpatia o
curiosità anche da altri diversamente laici
non considerati fedeli ma interessati
comunque agli stessi problemi.
0.2 L’interpretazione autentica dell’Esortazione sembra supporre che la
gioia dell’amore sia la prima chiave di lettura da tener presente. Del
resto gioia/gaudio/canto di lode/giubilo
costituiscono una sorta di leit Motiv
nel magistero di Papa Francesco. Accanto a questa chiave di lettura occorrerebbe
però porre anche un principio che Francesco considera fondamentale: la priorità del tempo sullo spazio, che
permette al papa di chiarire che “non
tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con
interventi del magistero” (Premessa
n.3).
0.3 Con queste sue premesse Francesco sgombra il campo da
qualsiasi pretesa di definitività che si pretenda fondata sul magistero stesso,
precisando subito con solennità che “Naturalmente
nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non
impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della
dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano, fino a quando lo Spirito non ci farà giungere alla
verità completa” (cfr Gv 16,13). Una
delle conseguenze di questo principio è la necessità di riscoprire la
responsabilità delle chiese locali, perché “in
ogni paese o regione si possano cercare soluzioni più inculturate, attente alle
tradizioni e alle sfide locali” (ivi).
Cosa che comporta implicitamente un ridimensionamento piuttosto significativo
di tutti gli altri organismi centrali della Santa Sede i quali vengono dispensati
dal dover intervenire su
problematiche spettanti di fatto alle legittime chiese locali. Novità non di
poco conto.
0.4 Ma il papa aggiunge, a ciò che ha appena detto, anche la
specificità del contesto dell’Anno
Giubilare della Misericordia, stella polare, a suo parere, delle
indicazioni pastorali della Chiesa che dovranno perciò essere lette senza
dimenticare mai di riferirsi alla misericordia
sempre, dovunque e per tutti (Premessa
n.5).
0.5 Alcuni elementi del Documento potrebbero sintetizzare una
sorta di ossatura dell’Esortazione.
Come, per esempio questi: “apertura alle Sacre
Scritture; attenzione all’essenziale;
costante riferimento all’insegnamento
della Chiesa circa il matrimonio e la famiglia; discernimento pastorale guidato dalla misericordia; spiritualità; ottimismo, che potremmo
riassumere in ciò che Francesco dice nella sua Premessa: le famiglie non
sono un problema, ma sono soprattutto un’opportunità” (n.7).
0.6 La base teologica fondamentale su cui Francesco
costruisce la famiglia cristiana è il mistero di Dio, che si lascia “contemplare
come Padre, Figlio e Spirito d’amore, di cui la famiglia è riflesso vivente”
(11). Alla luce di questa visione teologica si pone anche la prospettiva
propria dell’antropologia cristiana che parte, in questo caso specifico della
famiglia, dal racconto della creazione della donna (Gen 2) in cui si evidenzia “l’inquietudine dell’uomo che cerca <un
aiuto che gli corrisponda>” e la risposta di Dio che gli pone accanto e di
fronte un <tu> umano che ha il volto di Eva che “riflette l’amore divino”.
La donna, il primo dei beni, viene
intesa, in questa prospettiva, come un
aiuto adatto ad Adamo e sua colonna
d’appoggio che gli si renderà intima
al punto da poter prestare a lei le parole del Cantico dei Cantici (2,16; 6,3): Il mio amato è mio e io sono sua…Io sono del mio amato e il mio amato è
mio (12), fino a dover constatare che i
due sono una sola carne (Gen
2,24) (13).
0.7 L’ordine dei valori del matrimonio richiama la Gaudium et spes del Concilio Vaticano
II, ma suggerisce anche che l’aiuto reciproco e l’intimità affettiva sono, all’interno
della realtà originaria dell’uomo, distinto in maschio e femmina, l’immagine
stessa di Dio impressa nell’essere umano, che perciò permette di parlare di una sola carne, prima ancora che si
faccia riferimento alla generazione dei figli.
0.8. La Parola di Dio, proposta dalla Bibbia, compagna di viaggio
per le famiglie (22), trova nella famiglia la sede per eccellenza della catechesi dei figli (16) e, nella familiarità
con la Parola di Dio, i genitori attingono gli elementi fondamentali per
svolgere il dovere di compiere con serietà la loro missione educativa (17),
stando bene attenti a non considerare
i figli una proprietà (18), ma
piuttosto un’occasione che permette loro di aprire,
appunto ai figli, il cammino della vita
(ivi). E’ impressionante, in questo
contesto, la personale lectio divina
su 1Cor 13, inno paolino alla carità,
di cui Francesco offre un saggio nei nn.99-119.
0.9. Francesco non ignora che la vita di una famiglia comporta
anche sofferenza e sangue. Infatti si affetta a chiarire: “Non pretendo di presentare qui tutto ciò che si potrebbe dire circa
i diversi temi relativi alla famiglia nel contesto attuale”, ma solo “raccogliere alcuni contributi dei
Padri sinodali, aggiungendo altre preoccupazioni che provengono dal mio proprio sguardo” (31). I consigli di
papa Bergoglio vanno in ogni caso nella direzione di una discrezione delicata,
perché “non ha senso fermarsi ad una
denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò potessimo cambiare
qualcosa. Neppure serve pretendere di
imporre norme con la forza dell’autorità” (35). Emergono così alcuni
elementi fondamentali della Esortazione
di Francesco, che potremmo individuare nell’attenzione
alla coscienza personale dei fedeli, i quali “tante volte rispondono quanto
meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti
a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi” (37), con una raccomandazione
estremamente importante rivolta agli operatori pastorali di ogni ordine e
grado: Siamo chiamati a formare le
coscienze, non a pretendere di sostituirle (ivi)[1].
10. Questa raccomandazione non toglie affatto la
consapevolezza che vi sia chi pensa che “indebolire la famiglia come società
naturale fondata sul matrimonio sia qualcosa che giova alla società” (42);
oppure che “un matrimonio connotato di esclusività, indissolubilità e apertura
alla vita finisca per apparire oggi una proposta antiquata”(53); né ignora che “avanza
in molti paesi una decostruzione giuridica della famiglia che tende ad adottare
forme basate quasi esclusivamente sul paradigma dell’autonomia della volontà” (ivi). E tuttavia Francesco ritiene che
il recupero del progetto originario
di Dio compiuto da Gesù nel dibattito sul ripudio concesso da Mosè (cfr Mt 19,3ss) mantenga ancora tutto il
sapore di un invito a trattare l’argomento appunto come un recupero o un itinerario
da proporre a chi manifesta di avere un cuore
indurito, senza dimenticare che “il vero significato della misericordia
implica, come insegnava Giovanni Paolo II, il ristabilimento
dell’Alleanza…tenendo conto che “la
percezione del peccato si desta davanti all’amore gratuito di Gesù” (64), lasciando
trasparire una sorta di maturazione,
appunto graduale, nella percezione stessa del peccato in quanto peccato. E,
per non essere frainteso da nessuno, Francesco specifica: “Dev’essere chiaro
che questo non è l’ideale che il Vangelo propone per il matrimonio e la
famiglia. I Padri sinodali hanno infatti affermato che il discernimento dei
Pastori deve sempre farsi distinguendo
adeguatamente (Relatio Synodi,
26.45) con uno sguardo che discerna bene le situazioni”, fino a ricordare
l’autorevole richiamo di Benedetto XVI: “Non
esistono <ricette semplici>”[2].
11. Ancora più marcato, a questo proposito, è il pensiero di
Francesco quando scrive: “i battezzati che sono divorziati e risposati civilmente non devono sentirsi scomunicati,
ma possono vivere e maturare come
membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si
prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino” (299). Oppure
quando, citando la Relatio finalis
(51), sostiene che “Il grado di
responsabilità non è uguale in tutti i casi, e possono esistere fattori che
limitano la capacità di decisione. Perciò, mentre va espressa con chiarezza
la dottrina, sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità
delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le
persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione” (n.79). Una
convinzione che Francesco difende riproponendo l’insegnamento sempre valido di
san Tommaso d’Aquino, il quale, dopo aver definito l’unione coniugale “la più grande amicizia” (123), aggiunge
che si tratta di “un’amicizia che comprende le note proprie della passione, ma
sempre orientata verso un’unione via via
più stabile e intensa” (125)[3].
12. Il richiamo alla positività
della sessualità è una caratteristica che collega Francesco al magistero di
san Giovanni Paolo II citato esplicitamente, e proprio su questo argomento,
diverse volte. Bergoglio ribadisce anche lui la convinzione cristiana secondo
la quale “Dio stesso ha creato la sessualità, come un regalo meraviglioso per
le sue creature” (150) e che “l’erotismo appare come manifestazione
specificamente umana della sessualità”, dal momento che “in esso si può trovare
<il significato sponsale del corpo e l’autentica dignità del dono>”
(151). Infatti nell’unione coniugale “l’erotismo più sano, sebbene sia unito a
una ricerca di piacere, presuppone lo stupore, e perciò può umanizzare gli
impulsi” (ivi).
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Un breve excursus su matrimonio e verginità
Una brevissima sintesi, non priva di un certo interesse,
Francesco offre nei numeri 158-162 della sua Esortazione su due problematiche apparentemente marginali che
sembrano tutt’altro che superate nel dibattito della Chiesa cattolica
contemporanea: la prima riguarda il
riproporsi di tanto in tanto della questione del matrimonio dei preti; la
seconda riguarda la crisi, ormai
sotto gli occhi di tutti, della Vita
Consacrata. Papa Francesco non propone nulla di definitivo su questi due
argomenti, ma le scarne righe che scrive su di essi potrebbero essere un
implicito punto di partenza – come succede spesso nei documenti del Magistero –
di pronunciamenti ben altrimenti impegnativi da attendersi in un futuro più o
meno lontano.
Oso pensare che queste pochissime righe possano nascondere
delle sorprese. Ovviamente non saprei dire in quale direzione. E’ comunque un dato di fatto che -sembra per
la prima volta - si richiami, in un documento solenne della Chiesa Cattolica,
l’esemplarità e l’aiuto prezioso che, su problematiche come quella
dell’educazione e formazione dei seminaristi e dei preti, può venire dall’”esperienza
della lunga tradizione orientale dei sacerdoti
sposati” (202), già presenti nelle Chiese cattoliche in piena comunione con
Roma. Ed è un altrettanto dato di fatto che Francesco ritorni su certe
convinzioni, ritenute quasi definitive, che consideravano e considerano tuttora,
lo stato della Vita Conscrata superiore allo stato
matrimoniale.
Soprattutto a proposito di quest’ultima problematica l’Esortazione di papa Francesco
(soprattutto nei nn.160-161) sembra un vero e proprio invito a ripensare
teologicamente il confronto tra Vita
Consacrata e Vita Matrimoniale. Infatti,
esplicitando un richiamo catechetico di san Giovanni Paolo II, Francesco ripete
con una certa solennità: “<Se, stando a una certa tradizione teologica, si
parla dello stato di perfezione (status
perfectionis), lo si fa non a motivo della continenza stessa, ma riguardo
all’insieme della vita fondata sui consigli
evangelici>”. Poi dichiara: “una persona sposata può vivere la carità in
altissimo grado e dunque <perviene a quella
perfezione che scaturisce dalla carità, mediante la fedeltà allo spirito di
quei consigli>”.
Da qui l’ulteriore precisazione che invita a porre l’insieme
della problematica al livello della simbolicità.
Scrive letteralmente il papa: “La verginità ha il valore simbolico dell’amore che non ha
la necessità di possedere l’altro, e riflette in tal modo la libertà del Regno
dei cieli. E’ un invito agli sposi
perché vivano il loro amore coniugale nella prospettiva dell’amore definitivo a
Cristo, come un cammino comune verso la pienezza del Regno.
A sua volta, l’amore degli sposi presenta altri valori simbolici: da una parte, è un
peculiare riflesso della Trinità.
Infatti la Trinità è unità piena, nella quale però esiste anche la distinzione.
Dall’altra è un segno cristologico,
perché manifesta la vicinanza di Dio che condivide la vita dell’essere umano
unendosi ad esso nell’Incarnazione, nella Croce e nella Risurrezione: ciascun
coniuge diventa infatti <una sola carne> con l’altro e offre sé stesso
per condividerlo interamente con l’altro sino alla fine.
Dunque mentre la
verginità è segno <escatologico> di Cristo risorto, il matrimonio è segno <storico>
per coloro che camminano sulla terra, un segno di Cristo terreno che accettò di
unirsi a noi e si donò fino a dare il suo sangue”.
“La verginità e il matrimonio sono, e devono essere, -
conclude perciò Francesco -modalità
diverse di amare, perché – e qui ritorna di nuovo l’insegnamento di san
Giovanni Paolo II riportato, questa volta, da una Enciclica (Redemptor hominis) - <l’uomo non può vivere senza amore. Egli
rimane per sé stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore>”.
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13. Dedicandosi più esplicitamente ad alcune prospettive pastorali il papa insiste sulla necessità di
sviluppare nuove vie pastorali ma,
anche in questo caso, ritorna a ciò che ha chiarito sin dall’inizio e cioè che
intende restare sulle generali, lasciando alle diverse comunità il compito di
elaborare proposte più pratiche ed efficaci (199) non senza ricordare, di nuovo, la necessità di
curare soprattutto “la formazione della
coscienza”, e sottolineando il rispetto per il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con
Dio, la cui voce risuona nell’intimità>, e ammettendo che “ci sono casi
in cui la separazione è inevitabile e, a volte, può diventare persino moralmente necessaria” (241), rivelando, in questi argomenti, un estremo
rispetto, da parte sua, per l’insegnamento dei suoi predecessori[4].
14. Papa Bergoglio, forse grazie anche alla sua dimestichezza
con gli Esercizi di sant’Ignazio,
insiste molto sul discernimento ma
poi è molto deciso nel richiamare tutti a considerare la sofferenza di coloro
che hanno subìto ingiustamente la separazione,
il divorzio o l’abbandono” (242), senza dimenticare mai la preziosità del perdono, “che un cammino di grazia rende
possibile” (ivi), il conforto dell’Eucaristia (cfr ivi), ma anche la corresponsabilità di tutti i membri della
comunità cristiana, che non dovrà lasciare soli i genitori divorziati che
vivono una nuova unione, soprattutto con l’aiuto che può dare
nell’accompagnamento richiesto dall’educazione dei figli. “Infatti, come
potremmo raccomandare a questi genitori di fare di tutto per educare i figli
alla vita cristiana, dando loro l’esempio di una fede convinta e praticata, se
li tenessimo a distanza dalla vita della comunità, come se fossero
scomunicati?” (246).
15. Nella stessa linea, tesa a dare testimonianza credibile
della propria fede, il papa ricorda i casi delle complesse situazioni di
matrimoni misti di ogni tipo, e delle “persone con tendenza omosessuale” (250),
nei confronti delle quali dovrà essere evidente che “la Chiesa conforma il
proprio atteggiamento al Signore Gesù il quale, in un amore senza confini, si è
offerto per ogni persona senza eccezioni” (ivi.
Cfr Misericordiae vultus, 12). Né
manca un pensiero delicato anche alle situazioni di lutto, che lacerano spesso
le famiglie, in tutte le loro componenti, molto di più di quanto appare. Il
tutto però, e sembra davvero essere questa la preoccupazione di fondo di tutta
l’Esortazione, senza dimenticare mai
che “i valori si realizzano anche in modo
imperfetto e in diversi gradi” (272).
16. Da qui le sue deduzioni: “Quando si propongono i valori, bisogna procedere a poco a poco,
progredire in modi diversi a seconda dell’età e delle possibilità concrete
delle persone, senza pretendere di
applicare metodologie rigide e immutabili…occorre un processo graduale”
(273). Francesco insiste: “La libertà
situata, reale, è limitata e condizionata. Non è una pura capacità di
scegliere il bene con totale spontaneità” (ivi).
E spiega: Non sempre si distingue adeguatamente tra atto <volontario> e
atto <libero> (ivi). Per
esempio: “Un’educazione che tiene al riparo dalla sensibilità per la malattia
umana, inaridisce il cuore. E fa sì che i ragazzi siano <anestetizzati>
verso la sofferenza altrui, incapaci di confrontarsi con la sofferenza e di
vivere l’esperienza del limite” (277). Né meno insidioso è, secondo Francesco,
l’eccessivo uso dei mass media, che egli definisce una sorta di <autismo
tecnologico> che espone più facilmente i ragazzi “alla manipolazione di quanti
cercano di entrare nella loro intimità con interessi egoistici” (278). Quindi
conclude: “Non bisogna ingannare i giovani portandoli a confondere i piani:
l’attrazione <crea sul momento un’illusione di unione, eppure senza amore
questa ‘unione’ lascia due esseri estranei e divisi come prima>” (284). Non
c’è nulla da dire. Qui Francesco dimostra di essere stato un educatore
raffinato che intende mettere a disposizione di tutta la Chiesa i frutti della
sua esperienza. E perfino delle sue letture! Infatti arriva a consigliare il
libro, l’Arte di amare di Erich
Fromm, un ebreo psicoanalista contemporaneo di cui si è probabilmente servito
non solo per capire meglio gli altri ma anche se stesso. Non si è accontentato
solo del Vangelo! Un’indicazione di metodo tutt’altro che scontata, in queste
cose, da un papa.
17. Il discorso di Francesco legato all’arte di Accompagnare, discernere e integrare la
fragilità, è certamente quello che ha potuto solleticare di più la
curiosità dei giornalisti e, ovviamente, dell’opinione pubblica recepita e
diffusa dai giornalisti stessi. E’ determinante però leggere questo capitolo
proprio qui dove è posto, al termine di una riflessione molto circostanziata sulla
gioia dell’amore. L’incipit di questi pensieri che si
accavallano insistentemente l’uno dopo l’altro, ha la forma di una introduzione
solenne presa a prestito dalla Relatio
Synodi (25) letta nel contesto dell’Anno Giubilare della misericordia”
(291): “Illuminata dallo sguardo di Cristo, la
Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo
incompiuto, riconoscendo che la grazia di Dio opera anche nelle loro vite dando
loro il coraggio per compiere il bene, per prendersi cura con amore l’uno
dell’altro ed essere a servizio della comunità nella quale vivono e lavorano”
(ivi).
18. Ritorna l’insistenza sulla “cosiddetta legge della gradualità” di san Giovanni
Paolo II (295), spiegata ulteriormente. Infatti: “non è una gradualità della legge, ma una gradualità nell’esercizio prudenziale
degli atti liberi in soggetti che non sono in condizione di comprendere, di
apprezzare o di praticare pienamente le esigenze oggettive della legge. Perché
anche la legge è dono di Dio che indica
la strada, dono per tutti senza eccezione che si può vivere con la forza
della grazia” (ivi). Dunque la legge rende
consapevoli dell’obiettivo cercato, anche se quello stesso obiettivo non è
ancora raggiunto[5]. In
realtà questa definizione della legge intesa come dono di Dio che indica la strada appartiene di fatto a ciò che
intendevano i Padri della Chiesa quando parlavano di Canone o anche di Dogma
intendendoli come orientamento di vita, e cioè come aiuto indispensabile per
raggiungere la meta intesa da Dio, ma non come la meta stessa già raggiunta.
Essi erano infatti ben consapevoli che, come la <littera> delle Scritture ispirate conduceva ma non si
identificava totalmente con lo <spiritus>
di essa che è la Parola di Dio, così anche ogni codificazione scritta di una
legge o di una <norma> dovesse
essere intesa, all’interno della Chiesa, allo stesso modo.
19. In un simile contesto riceve maggiore luce anche tutto
ciò che Francesco dichiara constatando che “due
logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare” (296, cfr Relatio finalis 51). La strada della misericordia e
dell’integrazione, che è quella di Gesù, è anche la strada della Chiesa ed essa
consiste nel non condannare eternamente
nessuno, ma di effondere la
misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero…Perché
la carità vera è sempre immeritata, incondizionata e gratuita. Pertanto
<sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle
diverse situazioni, ed è necessario
essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro
condizione>” (ivi). Francesco prosegue:
“Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di
partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una
misericordia <immeritata, incondizionata e gratuita>.
20. “Nessuno può essere
condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo!” (297). E
il papa precisa: “non mi riferisco solo ai divorziati
che vivono una nuova unione, ma a tutti,
in qualunque situazione si trovino” (ivi).
Poi aggiunge: “È comprensibile che non ci si deve aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico,
applicabile a tutti i casi…il grado di responsabilità non è uguale in tutti i
casi (Relatio finalis 51), le conseguenze o gli effetti di una norma
non necessariamente devono essere sempre gli stessi, aggiungendo in nota: nemmeno per quanto riguarda la disciplina
sacramentale. E dunque in questo ambito sono i presbiteri coloro che devono
“accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo
l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo” (300).
21. E’ a questo punto che Francesco richiama per tutti gli
interessati la tradizionale necessità, presente da sempre nella Chiesa e
motivata con l’autorità di san Tommaso d’Aquino, di fare un sincero “esame di coscienza”. Scrive il papa:
“Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio
che non viene negata a nessuno” (Relatio
finalis 85). Si tratta infatti di un itinerario di accompagnamento e di discernimento che orienta questi fedeli alla presa
di coscienza della loro situazione davanti a Dio” (ivi). E ricorda: “Tommaso d’Aquino riconosceva che qualcuno può
avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualche virtù, in
modo che anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non manifesta con
chiarezza l’esistenza di qualcuna di esse, perché l’agire esterno di questa
virtù trova difficoltà” (301).
Rifacendosi poi a un testo del Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda ancora che “l’imputabilità e la responsabilità di
un’azione possono essere diminuite o annullate dall’ignoranza,
dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti
smodati e da altri fattori psichici oppure sociali”. E conclude: “Per
questa ragione, un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un
giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta” (302).
“E’ meschino infatti soffermarsi a
considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una
norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena
fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano” (304). Tommaso
d’Aquino insegnava: “Sebbene nelle cose
generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose
particolari, tanto più si trova indeterminazione” (ivi). Una citazione che parrebbe quasi essere quella di un fisico
nucleare. E invece si tratta di un testo della Summa Theologiae di san Tommaso (I-II, q. 94, art.4). Il papa
aggiunge in nota che lo stesso san Tommaso concludeva: “se non vi è che una
sola delle due conoscenze (quella generale e quella particolare), è preferibile
che questa sia la conoscenza della realtà particolare”! (304, nota 348). Da qui
una ammonizione molto precisa che si può leggere in nota (305, nota351): “ai sacerdoti ricordo che il confessionale
non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del
Signore”[6].
22. Tutto ciò che papa Francesco scrive nella sua Esortazione potrebbe insomma, a mio
parere essere rintracciato in queste sue parole precise: “In qualunque
circostanza, davanti a quanti hanno difficoltà a vivere pienamente la legge
divina, deve risuonare l’invito a percorrere la via caritatis (306). Suggerimento che avevamo già letto nella Evangelii gaudium in cui Francesco aveva
scritto: “Senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare
con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si
vanno costruendo giorno per giorno, lasciando spazio alla misericordia del
Signore che ci stimola a fare il bene
possibile” (308).
guido innocenzo gargano@gmail.com
[1]
Un richiamo che a me personalmente ha dato felice conferma di ciò che avevo già
sollecitato in un mio articolo che aveva suscitato tante reazioni nei mesi che
trascorrevano tra la prima e la seconda sessione del Sinodo.
[2]
Anche questo mi fa molto gioire, perché avevo già richiamato, in un mio
articolo che aveva provocato più di una reazione risentita, la necessità di
distinguere sempre tra skopòs e telos nella interpretazione delle parole
di Gesù. Questo, a mio parere, risultava da una esegesi attenta dello stesso
passo dell’evangelista Matteo, adesso citato da papa. E tentavo di dire che una
simile distinzione comporta, di fatto, una conseguente attenzione alla gradualità che, nella mia interpretazione, Gesù
aveva riconosciuto a Mosè, del quale non intendeva abrogare nulla.
Atteggiamento che gli permetteva di fare riferimento alla durezza del vostro cuore (Mt 19,
8), senza per questo rinunziare a ribadire che quello che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi (Mt 19, 6b).
[3] In questo contesto, che richiama il titolo della sua Esortazione, la gioia dell’amore (126), Francesco spiazza tutti con un estemporaneo e simpatico riferimento al film Il pranzo di Babette che rivela implicitamente un tocco di positività anche nei confronti dei messaggi veicolati dai mass media, che non ci saremmo aspettato (129).
[4] Cita, per esempio, Humanae vitae di Paolo VI e Familiaris consortio di Giovanni Paolo II e, ovviamente, il Concilio Vaticano II e la Gaudium et spes in particolare.
[5] Anche in questo caso rinnovo la mia gioia di cui accennavo alla nota 1. Francesco non si azzarda però neppure qui a indicare il testo di Mt 19,8 in cui Gesù dichiarava: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così”. Probabilmente lo omette perché il contesto preciso in cui sta parlando non si riferisce propriamente alle <coppie separate e risposate> dopo un <ripudio> o <divorzio>, ma semplicemente alle coppie che vivono in <un matrimonio solo civile”, in “semplice convivenza” oppure in <unione di fatto>. E’ difficile però pensare che l’orientamento pastorale suggerito dal papa non derivi anche dal testo matteano in cui emerge la differenza tra ciò che ha potuto permettere la <legge di Mosè> e ciò che era invece l’intenzione di Dio Creatore fin dall’inizio con la conseguenza di dare alla “durezza del cuore” una interpretazione tale che permetta di vederla tranquillamente in connessione con ciò che il papa indica come soggetti che non sono in condizione di comprendere, di apprezzare o di praticare pienamente le esigenze oggettive della legge (295).
[6]
Di nuovo mi sento confortato su ciò che avevo appreso fin dagli anni della mia
formazione in teologia morale e che avevo sintetizzato in alcuni miei
interventi antecedenti al Sinodo, riportando le seguenti massime imparate a
memoria durante i dibattiti conciliari e riprese nelle lezioni accademiche dei
miei maestri all’<Anselmianum>: “paenitenti
credendum est”; “quieta non movere”
e “de internis non iudicat ecclesia”,
che in italiano si traducono: “al penitente si deve credere”; “non si deve
turbare una coscienza serena”; “la chiesa non giudica ciò che appartiene
all’interiorità” (cioè al rapporto con Dio nella coscienza del singolo).
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