Parco Archeologico Religioso CELio

Parco Archeologico Religioso CELio
".... energia rinnovabile UOMO"

venerdì, agosto 05, 2022

RACCONTI di: Papa Gregorio Magno - La sua vita. Le sue intuizioni. La sua eredità

Premessa

La domanda che già alla metà degli anni 50 (cfr. <Camaldoli> 43 (1955) 135-146) ci si faceva all’interno delle congregazioni monastiche sulla eventuale caratteristica ‘missionaria’ del monachesimo cristiano, ha proseguito a interessare i monaci cattolici, e i benedettini in particolare, lungo tutto il pontificato di Pio XII e ha ricevuto un impulso del tutto impensato soprattutto dopo il Concilio Vaticano II. Negli ultimi decenni abbiamo assistito infatti ad una vera e propria esplosione di presenze monastiche in territori che una volta si definivano ‘paesi di missione’, né sono mancate, come spesso accade in questi casi, testimonianze drammatiche di martirio cruento. I sette monaci trappisti trucidati recentemente in Algeria ne sono la conferma più impressionante.

Nulla obstat dunque ad una presenza testimoniale monastica caratterizzata in senso esplicitamente missionario. Né potrebbe essere altrimenti dal momento che la Chiesa stessa non può fare a meno di definirsi appunto missionaria essendo nata grazie al dono dello Spirito e all’incarico ricevuto da Gesù Risorto:Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (Atti, 1, 8).

Non è in discussione allora la natura squisitamente ‘missionaria’ di un monachesimo come il nostro che, nonostante utilizzi l’attributo “cristiano” appunto come attributo, lo trasforma di fatto in fondamento sul quale la caratterizzazione monastica, attinta a modi di essere e di fare provenienti da altre latitudini religiose e culturali, trova la sua ragion d’essere profonda e la sua giustificazione ultima nell’essere parte integrante della Ecclesìa Theou del Nuovo Testamento.

Se i secoli successivi all’età apostolica - scriveva una monaca degli anni cinquanta che amava definirsi missionaria - sono quelli delle più grandi conquiste missionarie, la parte che in tali conquiste spetta al monachesimo appare semplicemente colossale".

I monaci, i rinunzianti, i solitari, ridonano centuplicato alla cristianità quello che sembrano averle tolto.

Le loro <Vitae Patrum> sono purtroppo un lembo di storia considerato più o meno leggendario di cui non conosciamo sufficientemente né la psicologia, né la teologia, né l’influenza derivatane. Ma bisognerebbe proprio sulle <Vitae Patrum> analizzare l’actio e la functio apostolatus in uomini come Antonio d’Egitto, Ilarione di Palestina, Simone di Cilicia e altri, che personificarono il monachesimo più avulso da una professione di apostolato. Vedere come la loro tipica virtù sociale, l’ospitalità, portata a vastità ed a finezze di sorprendente bellezza, li tenesse in continua disposizione prossima al contatto missionario; vedere come il loro apostolato, la partecipazione non professionale ma occasionale all’opera di conversione degli uomini al Cristo, di difesa e di conservazione della fede, fosse un prodotto spontaneo del loro profondissimo senso ecclesiale. I rinunzianti non sono a servizio esclusivo dell’anima propria: servono la Chiesa. Antonio piange sugli eretici; discute coi filosofanti; dà man forte ad Atanasio; incita i perseguitati di Alessandria a resistere e porta nella sinassi ai fratelli il dono di un volto che era il più sereno.

Ilarione di Gaza in Palestina, sia pure nella proposta romanticizzata di Gerolamo che comunque è da annoverare fra gli ideologi più influenti del monachesimo cristiano fin dalle origini, fa il Battista, predica ai pagani della Filistea, combatte gli idolatri e i loro templi, converte gli arabi, e intorno a lui, gigante della penitenza missionaria, i discepoli si stringono a migliaia.

Simeone di Cilicia vive per trent’anni sulla famosa colonna: la stele gli fa da cattedra. Per trent’anni da lassù evangelizza i passanti.

Tale monachesimo fu ‘missionario’ senza esserselo proposto: pacificamente; lo fu a prezzo di rischi e di sangue talvolta, lo fu con l’influenza del suo pensiero al quale si riannoda la teologia della chiesa; lo fu in virtù delle macerazioni e delle elevazioni con le quali voleva ottenere non qualsiasi altro successo, ma la puritas cordis.

E’ troppo noto, per citarlo, ciò che poté su tutto l’Oriente e l’Occidente la vita di Antonio. Nel suo percorso attraverso il mondo un Agostino di Ippona sarebbe stato catechizzato da essa in modo irresistibile e spinto da essa verso l’ultima tappa della salvezza: il grande pianto nell’orto milanese (Confessioni, lib.VIII,, cap.VI)...

A mano a mano che il monachesimo si organizza, anche la sua vita missionaria prende aspetto collettivo, di gruppo. Esempi tipici: il gruppo di Agostino diretto dall’Italia all’Inghilterra; il gruppo di Bonifacio che punta dall’Inghilterra verso la Germania: monaci a due, a tre, a cinque, si spingono come sentinelle avanzate verso il nord dell’Europoa, in tutte le direzioni: monaci singoli che, anziché attendere i passanti sotto la propria stele, vanno per incarico della Chiesa a forzare cortine di ferro nei secoli di ferro, e ne bagnano col sangue le soglie. Esempio tipico nel secolo XI i cinque fratelli, cinque discepoli di San Romualdo fondatore di Camaldoli, martirizzati in Polonia e Bruno di Querfurt in Prussia” (Maria Giovanna Dore, Il monachesimo è missionario?, <Camaldoli> 43 (1955)135-139 passim).

“Col farsi avanti delle corporazioni religiose specificamente ‘missionarie’ il monachesimo sembrò quasi rimanere indietro, ai tempi andati, e ristagnare, fuori dei movimenti apostolici che dal secolo XIV a oggi sono venuti a rallegrare col loro impeto la città di Dio.

I motivi del fenomeno storico per cui il monachesimo sembrò ‘immobilizzarsi’ nelle sue retrovie, cedendo il passo ai nuovi pionieri, sono di una complessità che una indagine affrettata non giungerebbe neppure a sfiorare...” (ivi).

Se però apriamo la Regula Monachorum, dove l’esigenza ‘missionaria’ viene interpretata all’interno della comunità stessa dei monaci, notiamo quale posizione debba assumere il monaco nella sua intimità nei confronti degli altri uomini e come, di conseguenza debba agire nella ‘officina’ del monastero con ‘gli strumenti delle buone opere’ per ottenere i prodotti squisiti dell’ ‘arte spirituale’.

“E’ una posizione di amore tale da condurre al servizio di cui l’amore porta i germi nel suo segreto: Honorare omnes homines e, quando essi si fanno vicini e bussano: Christus in eis adoretur qui et suscipitur. Nei confronti della loro povertà, dolore, tribolazione, infermità, morte: pauperes recreare, dolentem consolari, in tribulatione subvenire, mortuum sepelire, infirmum visitare.

Così deve sentire e fare il monaco: ma da ciò non deriva alcuna impresa programmatica della comunità monastica”, concludeva in quegli anni la Madre Dore che poi proseguiva: “Benedetto fugge gli uomini prima che essi lo cerchino, si sprofonda nella spelonca sublacense, per habitare secum. Il bisogno che gli uomini hanno di essere catechizzati da lui dovrà raggiungerlo là, toccarlo, come una mano vuota che si protende a ricevere. Soltanto allora, sotto quel tocco non voluto, del tutto occasionale, Benedetto apre la sua mano e versa su quella dei fratelli la carità raccolta per loro nella lontananza da loro. Evangelizza” (ivi).

(CONTINUA PROSSIMAMENTE)

Padre Innocenzo Gargano

igargan@tiscalinet.it

________________________

Priore Monastero

San Gregorio al Celio

P.za san Gregorio 1

00184 Roma

Nessun commento: