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domenica, agosto 07, 2022

RACCONTI di: Papa Gregorio Magno - La sua vita. Le sue intuizioni. La sua eredità

Gregorio Magno e il suo monachesimo

Gregorio nacque a Roma nel 540 dalla famiglia senatoriale della Gens Anicia. Fu eletto <praefectus urbi>, ma dopo matura riflessione, forse su influsso di due zie paterne, rinunziò alla carriera politica e si consacrò alla vita monastica trasformando in monastero il palazzo ereditato dal padre al Clivus Scauri sul Celio. Ordinato diacono fu inviato nel 579 come apocrisario del papa presso l'imperatore Maurizio a Costantinopoli dove rimase fino al 585/586. Di ritorno a Roma divenne consigliere del Papa Pelagio II alla cui morte (7 febbraio 590) raccolse l'eredità pontificale.

Nel 596 Papa Gregorio ebbe l'intuizione di inviare il monaco Agostino con altri quaranta monaci della sua comunità monastica del Celio, (fra i quali la storia ricorda i santi Laurentius, Mellitus, Justus, Onorius, tutti successori di Agostino a Canterbury, Paulinus, primo Arcivescovo di York e Pietro, primo Abate dell’abbazia di Canterbury), come missionari nella Britannia per convertire gli Anglosassoni, ponendo così le premesse della diffusione dello spirito romano in quelle terre dalle quali, nei due secoli successivi, sarebbero partite schiere di monaci per l'evangelizzazione della Germania.

Questo papa-monaco ha fatto di Benedetto da Norcia, patriarca riconosciuto universalmente del monachesimo latino, il ritratto più convincente, proponendolo come icona archetipa del monaco occidentale.

A proposito di un particolare modo di essere monaco che fu proprio di Benedetto il papa di Roma scrive fra l’altro:

Andando altrove il santo mutò luogo ma non avversario. In seguito dovette sostenere infatti battaglie ancora più dure, perché si trovò ad affrontare in campo aperto lo stesso maestro del male in persona. La rocca chiamata Cassino è situata sul fianco di un monte elevato. Essa accoglie il paese come in un’ampia insenatura; poi salendo ancora per circa tre miglia, sembra protendere la sua cima fino al cielo. Lassù c’era un antichissimo tempio in cui, secondo l’inveterata consuetudine dei pagani, la massa ignorante dei contadini rendeva culto ad Apollo. Tutt’intorno crescevano boschi consacrati al culto dei demoni; e ancora in quel tempo una stolta folla di infedeli si affannava per offrire numerosi empi sacrifici.

Appena vi giunse, l’uomo di Dio spezzò l’idolo, rovesciò l’altare, tagliò i boschi. Proprio dove si ergeva il tempio di Apollo costruì un oratorio dedicato a S.Martino; e dov’era l’ara di Apollo, una cappella in onore di S.Giovanni. Inoltre con un’assidua predicazione attirava alla fede tutta la popolazione che abitava nei dintorni ( Libro II dei Dialoghi, cap.VIII, 10-11. Traduzione in S.Benedetto un maestro di tutti i tempi (Dialoghi e Regola), Ediz. Messaggero Padova/Praglia 1981, pp.72-73).

Che il monachesimo fosse per Gregorio Magno parte integrante delle strutture della Chiesa è cosa ammessa ormai da tutti: “Gregorio vuole monasteri dappertutto” constatava per esempio Vincenzo Recchia (in <Opere di Gregorio Magno> V/1, Lettere (I-III), ed. Città Nuova 1996, pp. 86-87). Ma non tutti fermano sufficientemente l’attenzione sulla nota “missionaria” che Gregorio riconobbe, e in parte impresse, al monachesimo cristiano. Già il modo con cui l’abbiamo ascoltato proporre il modello Benedetto ai monaci di Occidente ci obbligherebbe a porre maggiore attenzione a questo fatto.

Ma l’evento più eclatante fu senza dubbio l’invio dei suoi monaci celimontani nella lontana Britannia ridiventata barbara e pagana.

Beda il venerabile riconduce questa inizativa di papa Gregorio all’ispirazione divina. Scrive infatti nella sua Storia ecclesiastica degli Angli: “Per ispirazione divina, nell’anno quattordicesimo del regno di Maurizio (Imperatore a Bisanzio), circa quarant’anni dopo che in Britannia erano arrivati gli Angli, mandò Agostino, servo di Dio, a predicare il messaggio di salvezza agli Angli” (o.c., p.71). E’ probabile che, ai tempi in cui scriveva il Venerabile, vi fosse in Britannia un dibattito aperto sulla possibilità o meno di raccordare all’interno della medesima persona la tensione monastica e l’attività missionaria. Gli anni della vita di Beda (672/3-735) infatti coincidono in parte con gli anni in cui Winfrido Bonifacio (680 c.-754) provoca all’interno del monachesimo anglosassone un forte movimento missionario che sfocerà nella partenza dello stesso Winfrido, in compagnia di monaci e monache delle comunità benedettine inglesi, per evangelizzare la Germania.

La giustificazione prodotta da Beda può darsi dunque che fosse stata imposta dal dibattito contemporaneo nel monachesimo del suo tempo in Britannia. Sta di fatto però che la tradizione ha sempre accostato all’icona di Gregorio Magno il simbolo per antonomasia dell’ispirazione dello Spirito Santo - una colomba - simbolo che contribuì alla convinzione del popolo romano di riconoscere in papa Gregorio un vero e proprio “console di Dio” (<consul Dei >).

La prima conseguenza di questa certezza sulla <ispirazione divina> che aveva suggerito l’invio dei monaci celimontani in Britannia, fu l’impegno richiesto con una certa benevola severità dal papa ai monaci missionari di rimanere fermi nell’impresa alla quale il Signore stesso li aveva destinati.

Scrive a questo proposito Beda Venerabile: “In obbedienza agli ordini del Papa i monaci intrapresero quest’opera e avevano già percorso una parte del viaggio (sembra che fossero già arrivati a Lerins), quando, vinti da un terrore che li paralizzava, pensarono di tornarsene in patria piuttosto che recarsi presso della gente barbara, feroce, miscredente, della quale non conoscevano neppure la lingua. Unanimi decisero che questa era la cosa più sicura. Senza indugio rimandano in patria Agostino che per disposizione di Gregorio avrebbe dovuto essere ordinato come loro vescovo quando fossero stati accolti dagli Angli, con l’incarico di supplicare umilmente il papa di non costringerli ad affrontare un viaggio tanto pericoloso, faticoso e incerto” (o.c., pp.71-72).

Rispose Gregorio: “Sarebbe stato meglio non iniziare una buona opera piuttosto che pensare di tornare indietro dopo averla intrapresa; perciò è necessario, o figli dilettissimi, che col massimo impegno portiate a compimento l’opera buona che avete intrapreso”...Poi proseguiva: “Dio onnipotente vi protegga con la sua grazia e conceda a me di vedere il frutto del vostro lavoro nella patria eterna. Così, sebbene non possa partecipare alla vostra fatica, godrò insieme con voi della retribuzione, poiché desidererei parteciparvi. Dio vi conservi sani e salvi” ( o.c.,p.72).

L’obbedienza ad Agostino, a sua volta obbediente al papa il quale si era reso docile all’ispirazione divina, sarebbe stato, pensava Gregorio, sostegno resistentissimo per le situazioni più dure.

Al suo arrivo in Britannia, dove “approdò con i suoi compagni, che erano all’incirca quaranta, come tramandano, Agostino mandò a dire al re Ethelbert che egli era venuto da Roma e che portava la buona novella che prometteva, a chi l’avesse seguita, gaudio eterno in cielo e certezza di un regno che sarebbe stato senza fine con Dio vivo e vero” ( o.c.,p.74).

Non si poteva pensare a nulla di più preciso per evidenziare l’intenzionalità squisitamente evangelica dei monaci romani. E di fatto il re Ethelbert, probabilmente già preparato da sua moglie Berta, cristiana cattolica franca, “ordinò ad Agostino e compagni di venire a colloquio... Quelli vennero portando come vessillo la croce d’argento e l’immagine del Salvatore raffigurata su una tavola: cantando litanie e supplicando il Signore per la salvezza eterna loro e di quelli per i quali e presso i quali erano venuti. Fermatisi per ordine del re, predicarono la parola di vita... Raccontano anche - prosegue il venerabile Beda - che Agostino e i suoi si avvicinarono alla città, secondo il loro costume, con la croce santa e l’immagine di nostro Signore Gesù Cristo, nostro re, cantando all’unisono questa litania: <Ti preghiamo Signore, di allontanare per la tua misericordia, il furore e l’ira da questa città e dalla tua santa casa, poiché abbiamo peccato. Alleluia>” (o.c.,p.75).

La nuova Gerico, analoga alla città temutissima conquistata dall’antico Giosué e dagli Israeliti, cadde così nelle mani di Agostino e dei suoi monaci cedendo non alla forza delle armi dialettiche, ma al vessillo invincibile della croce e dell’immagine del Salvatore invocato all’unisono dalle litanie e dai canti dei nuovi sacerdoti di Cristo.

I monaci romani raccolgono dunque le loro primizie nella terra degli Angli proseguendo semplicemente a vivere ciò che costituiva il cuore stesso della loro vita monastica: la celebrazione liturgica della croce del Salvatore <in cui è la salvezza, la vita e la resurrezione nostra>, espressione altissima dell’unità dei cuori che dovrebbe caratterizzare una comunità monastica.

Né si ferma a queste semplici indicazioni il racconto del venerabile Beda che anzi prosegue nel ricondurre l’implantatio Ecclesiae in gentibus Anglorum, portata avanti dai monaci romani, all’icona che offriva di se stessa la chiesa apostolica descritta da Luca nelle pagine degli Atti degli Apostoli riconosciuta fin dalla redazione delle Collationes di Giovanni Cassiano prototipo per eccellenza della comunità monastica cristiana.

Scrive infatti lo storico della Chiesa inglese: “Appena ebbero messo piede nella sede loro concessa, cominciarono a imitare la vita apostolica della Chiesa primitiva; si consacravano a preghiere continue, veglie, digiuni, predicavano le parole di vita a quelli che potevano, disprezzavano tutte le cose di questo mondo come estranee; da quelli ai quali insegnavano prendevano solo quel poco che reputavano necessario al loro sostentamento; essi stessi vivevano seguendo in tutto quei precetti che insegnavano agli altri, con l’animo sempre pronto a sopportare qualsiasi avversità, e anche a morire per la verità che predicavano... Essi dunque cominciarono inizialmente a radunarsi in questa chiesa, a cantare, a pregare, a celebrare l’eucarestia, a predicare, e a battezzare” (o.c., p.76).

Cantare, pregare, celebrare l’eucarestia, predicare e battezzare sono attività che il venerabile Beda non vede affatto in contraddizione con le continue veglie e i digiuni che costituiscono da sempre caratteristica determinante di ogni comunità che si definisca monastica, quando venga accompagnata da <disprezzo per tutte le cose di questo mondo ritenute estranee> e dalla coerenza dell’insegnamento con lo stile concreto della vita <prendendo solo quel poco che reputavano necessario al loro sostentamento>.

Che questo modo particolare di intendere la vita missionaria dipendesse strettamente dall’insegnamento che i monaci romani avevano ricevuto direttamente da papa Gregorio nel loro monastero celimontano, lo si evince facilmente dal tono delle risposte che lo stesso papa Gregorio dette, intorno al 601 circa, alle richieste di Agostino di ritorno in Britannia dopo aver ricevuto la consacrazione episcopale ad Arles .

L’insieme delle domande di Agostino e delle risposte di Gregorio forma in realtà quel <Libellus responsionum > che costituisce una documentazione preziosissima sul metodo missionario così come esso era stato inteso da Gregorio Magno.

Di questo intendiamo adesso parlare in tre momenti successivi:

Primo presentando la bibliografia essenziale;

secondo riferendo in sintesi alcuni commenti già proposti da altri in questi ultimi anni;

terzo leggendo insieme i brani più significativi delle fonti accompagnate da alcune osservazioni conclusive .

 

Padre Innocenzo Gargano

igargan@tiscalinet.it

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Priore Monastero

San Gregorio al Celio

P.za san Gregorio 1

00184 Roma

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