@ - «Ricordatevi di pregare per me». Questa è la frase che papa Francesco ha ripetuto più spesso nel corso del suo papato. Alla fine di ogni udienza, di ogni Angelus, di ogni intervista privata, di ogni incontro con una sola persona o con una moltitudine di fedeli, lo abbiamo sentito ripetere insistentemente: «Ricordatevi di pregare per me».
Il Papa e quel «ricordatevi di pregare per me». Ma come si deve pregare?
© Fornito da Avvenire
Perché tanta insistenza? A dire il vero, la domanda si potrebbe porre in un altro modo: che cosa pretende il Papa con questa richiesta? Allo stesso tempo ci vengono in mente molte altre domande che probabilmente ci siamo posti nel corso della vita a proposito della preghiera: che cosa significa pregare? Come si deve pregare? Non si tratta di una perdita di tempo, in cui ripeto a pappagallo frasi che non cambiano niente? Il momento della preghiera non è un momento destinato alla noia?
Potremmo aggiungere altre domande o altre esperienze, più o meno positive. Ciò che è indubbio è che il Papa ci ripete: «Ricordatevi di pregare per me». Tuttavia, non ci dice di pregare soltanto per lui, insiste perché preghiamo anche per il mondo, per la pace, per coloro che soffrono, per noi e il nostro ambiente, per le nostre famiglie e per coloro che ci fanno soffrire, per il nostro lavoro, la nostra salute… Il Papa non pretende di appropriarsi della nostra preghiera. Ci invita a pregare per lui, ma al contempo anche per molto altro.
Le pagine di questo libro presentano una collezione di molti momenti nei quali papa Francesco ci parla della preghiera, ci insegna a pregare e ci lascia ascoltare la sua. Si tratta di parole che diventano una scuola di preghiera. (...) In molte occasioni Gesù ci consiglia di pregare. Ci invita a chiedere insistentemente, con fiducia e senza perderci d’animo. Affinché il suo insegnamento sulla preghiera s’imprima nella nostra memoria, si serve delle parabole, come quella dell’amico inopportuno che si presenta a un’ora insolita per chiedere un po’ di pane (Lc 11,5-8) o della vedova alla quale il giudice non vuole fare giustizia (Lc 18,1-5). Si serve delle parabole, ma non solo. Insegna anche in modo diretto quando ci dice: «Chiedete e vi sarà dato» (Mt 7,7) (...).
Non si esaurisce qui l’invito di Gesù. Esiste un’altra parabola che può completare la nostra riflessione. È quella del seminatore, che abbiamo ascoltato molte volte. (...) Dopo aver raccontato questa parabola, Gesù agisce in maniera insolita, ovvero si sofferma a spiegarne il significato. Ascoltiamo le sue parole: Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada.
Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno (Mt 13,19-23).
Non si tratta, qui, di chiedere ciò di cui abbiamo bisogno. Si tratta di ciò che siamo o di come siamo. E anche questo fa parte della preghiera. Vediamo più nel dettaglio quello che Gesù dice. La Parola di Dio è seminata nel nostro cuore, ma non sempre il nostro cuore è pronto affinché questa Parola dia frutti. Può succedere che a volte non comprendiamo questa Parola, o che ci siano degli ostacoli nelle nostre vite, dispiaceri e inquietudini che ci fanno perdere l’entusiasmo. Oppure può succedere che nella nostra vita ci siano rovi di cattive abitudini e di vizi che ci risultano molto difficili da oltrepassare.
La parabola ci dice che tutto questo fa sì che la Parola di Dio non dia frutti. Infine, se il terreno del nostro cuore è buono, accogliamo la Parola e i frutti che produciamo sono maggiori o minori, in base a quanto siamo pronti. Sappiamo che tutto questo succede nella vita. Il nostro cuore non è il terreno migliore, ma dobbiamo accontentarci di tale situazione? Non ci sarà alcuna possibilità di rimuovere quegli ostacoli, di mettere un freno alla crescita dei rovi? Non sarà possibile trasformare il nostro cuore in un terreno più fertile, in modo da non doverci accontentare del trenta per cento?
A tutte queste domande si risponde con una sola parola: la preghiera. Perché la preghiera è il respiro della nostra vita cristiana. È un dialogo con Dio e pregando, parlando con Lui, ci prepariamo affinché cambi le nostre vite. Ricordiamo ciò che i discepoli domandarono a Gesù: «“Allora, chi può essere salvato?”. Gesù li guardò e disse: “Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile”» (Mt 19,25-26). Pregare è prepararci a ricevere da Dio il sigillo del suo amore. Questo amore che ci rende pienamente figli, pienamente umani, pienamente liberi.
La parabola del seminatore ci ha mostrato un altro aspetto della preghiera. Non si tratta solamente di chiedere, ma anche di porci di fronte agli occhi del Signore, di lasciare che quello sguardo ci intenerisca. Noi, che eravamo fatti di terra, abbiamo bisogno di quello sguardo per non diventare duri come la pietra. E se ci siamo induriti, abbiamo bisogno che ci trasformi. Come disse una volta Gesù: «Da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo» (Mt 3,9). Con la consapevolezza che per l’uomo è impossibile salvarsi – e che per noi soli è impossibile persino essere buoni e all’altezza della situazione –, sapendo che tutta la crescita dipende dal suo amore e dalla sua grazia, sorge un duplice sentimento: la gratitudine e l’umiltà.
A questo proposito, Gesù ci ha lasciato un’altra parabola che mette in guardia sull’atteggiamento del nostro cuore quando preghiamo: la parabola del fariseo e del pubblicano. (...) Questa parabola ci presenta due modi di pregare, quello di un uomo che si considera giusto e buono e quello di un uomo che si riconosce come peccatore. Il pubblicano, oltre a riconoscere il proprio peccato, riconosce la paternità di Dio. Il fariseo, al contrario, pare non parlare con Dio, sembra più che altro esaltare le proprie buone azioni. Si presenta a Dio affinché Egli sappia di avere un buon figlio, ma in realtà non stabilisce una relazione come figlio con suo Padre.
Sappiamo che durante la vita ci sono cose che vanno bene e cose che vanno storte, non siamo perfetti, ma proviamo a vivere nella presenza di Dio. Così come siamo, senza inganni, senza trucchi, senza maschere. Riconosciamo le pietre che impediscono la crescita della sua Parola, i cardi e le spine che la soffocano e, allo stesso tempo, riconosciamo che Dio ci ha dato molte abilità che potremmo far fruttare e che, a volte, stanno già dando frutti. Ma tutto ciò lo riconosciamo nell’umiltà dei figli, nei difetti e nelle virtù, perché, come dice san Paolo: «Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?» (1Cor 4,7) (...).
Sappiamo per esperienza che le cose più preziose della nostra vita sono anche le più fragili: la famiglia, il matrimonio, la salute, il lavoro, la pace, la gioia. È ciò a cui dobbiamo prestare più attenzione e per questo sono gli argomenti privilegiati della nostra preghiera. La preghiera stessa è preziosa, come abbiamo già detto, perché è il respiro della nostra esistenza di cristiani, dà consistenza alla nostra umanità e guida la nostra libertà. Ciò che è più prezioso nelle nostre vite è fragile e, al tempo stesso, è ciò che viene maggiormente attaccato.
Il profeta Amos ci parla – tramite una parabola – di tre nemici. Si serve dell’immagine di tre animali selvatici e distruttori: Come quando uno fugge davanti al leone e s’imbatte in un orso; come quando entra in casa, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde (Am 5,19). Sono tre nemici della nostra vita di cristiani e della nostra preghiera. Possiamo scappare dalle grinfie del leone o dell’orso e, quando pensiamo di essere al sicuro in casa, saremo nuovamente attaccati, questa volta dal serpente, che è il più astuto di tutti gli animali e striscia silenzioso nella parte più nascosta del nostro cuore.
Lasciamo che il Papa ci spieghi questa parabola profetica. Francesco ci avverte di due pericoli che sono come delle falsificazioni della preghiera. Sono forme antiche (per questo i nomi ci sembreranno strani), tuttavia compaiono sempre, come il serpente che cambia pelle, ma possiede sempre lo stesso veleno (cfr Gaudete et exsultate, 35-59).
La prima forma di falsificazione della preghiera, e della vita cristiana in generale, è ciò che il Papa chiama neo-gnosticismo, che in sostanza suggerisce di prestare attenzione allo spirito, escludendo però il resto del mondo. Si tratta della forma di preghiera che sostiene di essere “pura”: puro spirito, puro pensiero, pura contemplazione delle cose del cielo. Tuttavia, qui si dimentica che noi uomini siamo anima e corpo, che camminiamo sulla terra con una storia concreta, in compagnia di uomini concreti, in situazioni determinate e reali. Si dimentica che il Regno di Dio comincia qui sulla terra. Questo modo di affrontare la vita spirituale genera un cristianesimo disincarnato, che non si preoccupa per il prossimo. La preghiera di questa forma di vita spirituale non si preoccupa nemmeno dell’altro, non prega per gli altri. Questa preghiera è diretta a un Dio senza volto e finisce per vivere senza fratelli. (...)
Molte persone dicono di non saper pregare. In realtà, stanno dicendo di credere che la preghiera necessiti di determinate virtù o dell’uso di meccanismi che loro non possiedono. Tuttavia, la preghiera è simile al dialogo che un figlio ha con suo padre. Tutti i bambini, da quando iniziano a parlare, parlano con confidenza con i loro padri e nessuno si preoccupa di conoscere tutte le parole o le formalità del discorso.
Così è la preghiera. Un dialogo con nostro Padre, il più amorevole di tutti. E se questo non fosse abbastanza, san Paolo ci insegna: allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili (Rm 8,26).
Fiduciosi in questa promessa, dopo aver visto la ricchezza della preghiera, credo sia tempo di ascoltare papa Francesco. Sarà come sedersi a conversare con lui, che è il Papa, ma è anche un padre e un fratello maggiore, e in alcuni momenti lo ascolteremo come se fosse un nonno che racconta una storia di famiglia e le esperienze di coloro che ci hanno preceduti. Lo ascolteremo pregare per sé stesso e per il mondo. Senza dubbio, alla fine ci dirà di nuovo: «Ricordatevi di pregare per me».
Il libro / Il debutto della casa editrice cattolica Il Pellegrino
Il Pellegrino, la nuova casa editrice nata per iniziativa dalla Provincia euro-mediterranea della Compagnia di Gesù, si presenta al pubblico con il testo di papa Francesco Ricordatevi di pregare per me (pagine 228, euro 17,00). Ne anticipiamo ampi stralci dalla prefazione, scritta da padre José Luis Narvaja, gesuita, patrologo e nipote di Jorge Mario Bergoglio. Suddiviso in due parti, offre una raccolta completa delle preghiere di Francesco, insieme a riflessioni e insegnamenti su come pregare nel quotidiano. In vista del Giubileo del 2025, infatti, l’anno appena iniziato è dedicato proprio alla preghiera.
Nessun commento:
Posta un commento