Parco Archeologico Religioso CELio

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venerdì, agosto 29, 2025

Zuppi e il Medio Oriente, ripartire dalla testimonianza della sacralità della vita e dalla santità della terra Un appello per ritrovare la via del dialogo e mettere fine alla guerra

 @ "Bisogna ripartire dalla testimonianza della sacralità della vita e dalla santità della terra come doni di Dio che nessuno possiede in esclusiva a discapito dell’altro".

É una delle frasi di un appello che "nasce dalla convinzione dell’improrogabile necessità di favorire qualsiasi iniziativa di incontro per arginare l’odio, salvaguardare la convivenza, purificare il linguaggio e tessere la pace" come scrivono i firmatari che aggiungono che in modo particolare, l’appello è aperto al “Tavolo delle religioni” che da tre anni si trova presso la sede della CEI nell’intento di cercare una “Via italiana del dialogo interreligioso”.


A firmare il testo sono: Noemi Di Segni Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI) Yassine Lafram Presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia (UCOII) Abu Bakr Moretta Presidente del Comunità Religiosa Islamica Italiana (COREIS) Naim Nasrollah Presidente della Moschea di Roma Imam Yahya Pallavicini Comunità Religiosa Islamica Italiana (COREIS) e il Cardinale Matteo Maria Zuppi Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI)

"L’odio e la violenza non hanno mai alcuna legittimità, portano solo alla diffusione della crudeltà di chi cura ambiguamente interessi paralleli volgarizzando e corrompendo le interpretazioni e la natura autentica dei testi sacri per benedire l’uso delle armi e organizzare la morte dell’altro", si legge nel teso che chiede azioni comuni per risolvere la questione del Medio Oriente.

"Il dovere di lavorare per una responsabile convivenza ci richiama come religiosi alla necessità di promuovere coesione sociale sulla base di valori condivisi, a fronte della grande costernazione che ci suscita il dolore degli altri".

sabato, agosto 23, 2025

Il ritorno di Draghi: «Ue spettatrice su Gaza e Ucraina, si riformi o finirà stritolata». L’appello al Meeting di Rimini: «Agite voi cittadini»

@ -  Da Rimini – O l’Europa innesta una nuova marcia o può dire addio definitivamente alle sue velleità di incidere sugli equilibri del mondo: quel che è accaduto negli ultimi mesi significa per l’Europa la fine dell’illusione che la potenza economica potesse generare ipso facto anche quella geopolitica. Perché il mondo in cui l’Ue è cresciuta non c’è più.

Il ritorno di Draghi: «Ue spettatrice su Gaza e Ucraina, si riformi o finirà stritolata». L’appello al Meeting di Rimini: «Agite voi cittadini»
È con una sferzata storica che l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi prova a dare – ancora una volta – la sveglia al continente dal palco del Meeting di Rimini, la cui 46esima edizione si è aperta questa mattina. «Abbiamo dovuto rassegnarci ai dazi imposti da nostro alleato più antico, gli Stati Uniti. E siamo stati spinti da esso ad aumentare le spese militari, in forme e modi che forse non riflettono i veri interessi dell’Europa», graffia senza troppi giri di parole l’ex governatore della Bce. Che ricorda impietoso come il Vecchio Continente oggi sia incapace di incidere davvero su tutti i tavoli che contano: «Ha avuto una ruolo marginale nei negoziati per la pace tra Russia e Ucraina, è stata spettatrice quando gli impianti nucleari sono stati bombardati e quando il massacro di Gaza si intensificava», enumera Draghi, attraendo l’applauso convinto della platea. Nessuna sorpresa, dunque, se nel mondo intero si diffonde un profondo scetticismo sul senso stesso dell’Unione europea.

La svolta necessaria per l’Ue
Che fare, dunque? Draghi, che un anno fa consegnava alla nuova Commissione von der Leyen il suo rapporto sul futuro della competitività europea, certo non pensa che l’Ue sia un progetto da archiviare. Se mai il contrario. Se vuole cambiare le coordinate e tornare a incidere su un mondo irriconoscibile rispetto a qualche anno fa, dove torna a contare la cruda potenza, l’Ue deve cambiare marcia, e in fretta. La scena di lunedì scorso a Washington, coi leader principali dell’Ue insieme alla Casa Bianca a difendere l’Ucraina e la sua stessa sicurezza, è un segnale nella giusta direzione, riconosce Draghi: «una manifestazione di unità che vale più di qualsiasi riunione a Bruxelles». Ma serve molto di più, argomenta l’ex premier: mutare la sua organizzazione politica, e procedere speditamente sul sentiero delle riforme economiche. Resta fisso il chiodo per Draghi delle barriere interne al mercato – normative e di altro genere – che bloccano la crescita. «L’Fmi calcola che se venissero ridotte al livello prevalente negli Usa la produttività del lavoro crescerebbe del 7% nell’arco di sette anni», ricorda l’uomo del whatever it takes. «Nessun paese che vuole sovranità può permettersi di essere escluso dalla produzione di tecnologie chiave: ogni dipendenza è incompatibile con la sovranità, cioè la capacità di disegnare il proprio futuro», sprona Draghi illustrando il paragone impietoso con i maxi-investimenti pubblici di Usa e Cina.

Il sussulto sui valori
Oltre ai nodi di policy ed economici, ricorda però infine Draghi, il sussulto che l’Europa può e deve avere deve porsi anche sul piano dei valori. Perché quelli su cui l’Ue è fondata – democrazia, libertà, pace, solidarietà, equità – ci vengono sì tuttora invidiati in tutto il mondo, ma al contempo non possono più essere dati per scontati. Dunque spetta in primis ai cittadini stessi assumere la nuova consapevolezza, e agire di conseguenza. «Trasformate lo scetticismo in azione», sprona alla fine Draghi in un appello tutto politico, che fa eco in qualche modo al richiamo stesso di questa edizione del Meeting («Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi»). «La democrazia, siamo noi, voi: spetta ai cittadini decidere sue priorità. L’inazione è il peggior pericolo per l’Europa».

lunedì, agosto 11, 2025

«Avevo tutto, ma non conoscevo il senso della vita». Sulle orme di santa Chiara

  Lunedì 11 agosto, giorno della festa di santa Chiara, sarà il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, a presiedere alle 11 la solenne concelebrazione nella Basilica intitolata alla fondatrice delle Sorelle povere, ad Assisi, e che, nella cripta, ne custodisce il corpo. Mentre domenica 10 agosto alle 17.30 i primi Vespri e la Messa verranno presieduti dall’arcivescovo Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno; alle 21 è poi in programma al santuario di San Damiano la veglia di preghiera nel Transito di Santa Chiara, guidata da fra Saul Tambini nel luogo dove la discepola di san Francesco si spense a sessant’anni l’11 agosto del 1253, dopo anni di malattia. Queste celebrazioni saranno trasmesse in diretta da “Maria Vision” sul canale 255 del digitale terrestre e in streaming su www.mariavision.it.


I ministri generali: «Comunità sempre più multiculturali»
Nell’ottavo centenario del cantico “Audite, Poverelle” i ministri generali dei frati minori, conventuali e cappuccini hanno indirizzato una lettera congiunta ai rispettivi rami di clarisse legati al primo ordine francescano. In “Audite sorelle” fra Massimo Fusarelli, fra Carlos Trovarelli e fra Roberto Genuin le ringraziano per la testimonianza «di vita contemplativa», la vicinanza, le «preziose preghiere». Ricordano poi come fin dall’inizio le figlie di santa Chiara appartenevano a «culture molto diverse. Assistiamo oggi con maggiore evidenza a una trasformazione dei nostri Ordini e dei vostri in comunità sempre più internazionali e multiculturali»: una diversità che «arricchisce l’espressione del carisma comune» e al tempo stesso rappresenta «una significativa sfida che ci invita a una reciproca e profonda accoglienza, integrando le nostre differenze».

Storie di clarisse. Così oggi si diventa Sorelle povere
Ma chi sono, oggi, le donne che scelgono la via del chiostro? Cosa – o Chi – le chiama a farsi Sorelle povere di Santa Chiara? E per quali vie la loro vocazione si fa incontro e accende la loro vita? Ecco due storie esemplari, ecco due voci da ascoltare: Claudia Capone e Cristina Miryam Recchia. Storie diverse: Claudia ha studiato architettura e ha lavorato nel mondo dell'arte, Cristina era impegnata nel panificio di famiglia. Claudia ha vissuto per un decennio a Roma, immersa nella vita della metropoli. Cristina è cresciuta e ha vissuto in provincia. Ecco come le loro strade hanno trovato in santa Chiara il punto di convergenza, l'incontro che cambia la vita, la soglia che apre a una vita nuova. Il denominatore comune? Per nessuna delle due, clausura e chiostro sono stati e sono fuga dal mondo. Tutt'altro.

Claudia: «Avevo tutto, ma ero inquieta. Mancava il senso della vita»
Dalla Marsica al Viterbese, passando per un decennio a Roma, prima per studio e poi per lavoro. La vita della 38enne suor Claudia Capone, sorella povera di Santa Chiara nel monastero “Santa Maria delle Grazie” a Farnese, è cambiata definitivamente nel 2017 quando ha varcato la soglia della clausura. Aveva in tasca la laurea magistrale in Architettura e quella presso l’Accademia di Belle Arti, lavorava come assistente dell’artista Maurizio Savini, aveva allestito mostre personali e collettive con le sue opere. «Fino a 27 anni sono stata lontana dalla fede e dalla Chiesa: le percepivo come qualcosa di estraneo, anacronistico e inutile. Ma nonostante avessi tutto, ero sempre inquieta perché non bastava a dare un senso vero alla mia vita e così mi sono spenta sempre di più, finché ho deciso di affrontare il vuoto che mi portavo dentro. Mi sono fermata, ho smesso di riempire quella voragine interna con la frenesia delle cose da fare e delle persone da incontrare, con l’accumulo di cose ed esperienze, ho mollato il controllo e per la prima volta ho davvero pregato Dio di aiutarmi», racconta.

«Sono emerse le paure e le ferite da cui scappavo: lì ho incontrato il Signore e ho iniziato a sentire, pensare, comportarmi in modo diverso. La preghiera, cioè coltivare il rapporto con il Dio incarnato che mi si era manifestato e mi aveva salvato dalla morte, era diventata per me essenziale», ricorda suor Claudia, che lo scorso 7 giugno ha emesso la professione solenne dei voti. L’incontro con le clarisse del borgo medievale di Farnese avviene accompagnando un’amica: «Appena ho messo piede nel chiostro, ho avuto la sensazione fortissima di “essere arrivata a casa”. Sono scoppiata in lacrime perché non riuscivo a contenere questa sensazione di pienezza e anche perché avevo paura. Ma piano piano, frequentando il monastero e le sorelle, ho scoperto che questa forma di vita mi calzava come un abito su misura. Allora ho mollato tutto e sono entrata».

Il timore era anzitutto quello di «estraniarmi completamente dal mondo e perdere contatto con la vita concreta delle persone fuori. La comunità di cui sono parte mi ha dato prova sin dall’inizio che è possibile vivere la separazione, necessaria per custodire la vita fraterna e di preghiera, senza che costituisca un muro di divisione. Non ci sentiamo dei modelli da guardare e imitare, ma delle compagne di strada che possono condividere nel profondo la condizione umana, perché vissuta in modo pasquale nella nostra carne». Poi suor Claudia si è confrontata con la sua fragilità, «che non ero disposta ad ammettere e ad assumere: vedevo bene quella degli altri, ma non la mia. Con il tempo ho accolto la mia umanità e così si può crescere nella libertà interiore». Lo insegna con la sua testimonianza sempre attuale la santa di Assisi: «Ha saputo vivere in ascolto della realtà. L’apertura di cuore, la capacità di leggere i segni dei tempi, l’ascolto dello Spirito sono tutte attitudini da maturare per incarnare anche oggi il carisma clariano in modo profetico».

Cristina: «Imputavo a Dio le ingiustizie. Lui mi ha amata come sono»
Ha varcato la soglia del monastero delle clarisse a Mola di Bari l’8 dicembre 2020, in piena pandemia da Covid19. E lo scorso 25 gennaio suor Cristina Miryam Recchia, 48 anni, ha professato i voti temporanei. Prima di entrare in clausura, in una fraternità composta da una decina di consorelle, lavorava nel panificio-pasticceria della sua famiglia ad Alberobello, dov’è nata e cresciuta. «Una vita normale divisa tra il lavoro, la passione per il ballo, tanti viaggi e amicizie», ricorda la monaca, sottolineando di aver attraversato anche «periodi di grande inquietudine in cui sentivo la nostalgia di qualcosa a cui neanche io sapevo dare un nome. Non vivevo un vero e proprio percorso di fede, anzi quella mancanza – e parte del dolore che la vita inevitabilmente ci chiede di affrontare – io la imputavo proprio a Dio: di tante ingiustizie era Lui che accusavo. Ora so che il mio era un grido di aiuto, il mio modo di pregare che trovava pace davanti a un tramonto, a un cielo stellato in cui ritrovavo la grazia di una Presenza inconsapevolmente percepita e cercata».

La scintilla è scoccata partecipando a una giornata vocazionale organizzata dai frati minori, in cui uno di loro le dice: «Hai mai pensato che quello che ti manca è la preghiera?». In realtà «il Signore da tanto tempo bussava alla porta del mio cuore ma io non rispondevo, per paura, perché non mi sentivo degna, capace: cercavo ragioni e certezze e invece Dio mi chiedeva di ascoltare il cuore, inquietudini e desideri; di questo, spesso tutti abbiamo timore». Nel discernimento durato due anni presso il monastero clariano Cristina ha intercettato «ascolto, cura, tempo donato, ma soprattutto il Signore. Era Lui ad aspettarmi e nella Parola, meditata insieme alle sorelle, ho trovato la forza di compiere questa scelta ma soprattutto una certezza: la bellezza di sentirmi amata per come sono e la grazia di essere affiancata dalle mie consorelle, terra sacra che il Signore mi ha affidato e da cui mi sento custodita, che mi hanno accompagnata a scoprire quella voce e a percepirne il richiamo… Quel cielo stellato era ed è davvero dentro di me: mi ha resa una donna più libera, più vera».

I familiari di suor Cristina Miryam, «dopo un primo momento d’incomprensione», hanno condiviso la sua scelta pur non comprendendola «fino in fondo: è stato un dono immenso del Signore; soprattutto mia madre mi ha dimostrato cos’è l’amore generativo, che lascia spazio e libertà all’altro di “essere”. Anche le mie amiche hanno continuato a essermi vicine, a sostenermi, e il Signore mi ha donato la possibilità di conoscerle ancora più in verità e in profondità, donandomi quel centuplo promesso a chi lascia tutto per ritrovare vita piena in Lui». L’augurio è che santa Chiara «insegni anche a noi oggi la gioia di generare negli altri vita vera: da Madre ha saputo fare spazio, prendere dentro di sé volti e storie per portarle nel cuore di Dio attraverso la preghiera, accompagnare cammini di fede sino a un Amore più grande, Cristo, re e Signore della sua vita».

domenica, luglio 27, 2025

«Quei corpi denutriti e noi: c'è una strategia dentro l'orrore»

 @«A Gaza c’è una progressione dell’orrore, del disumano, uno spostamento del senso del limite cui non eravamo abituati». Mario Morcellini è professore emerito di comunicazione all’Università La Sapienza di Roma e quando guarda le immagini della disperazione, dei corpi denutriti dei bambini e delle donne che piangono, ammette subito che «gli studi che abbiamo fatto sugli effetti della comunicazione non sono più adatti per leggere quello che sta accadendo.

Tutte le ricerche sostengono che occorre saper dosare la rappresentazione del dolore nei confronti dell’opinione pubblica, ma qui è evidente che siamo andati ben oltre».

Professor Morcellini, la comunicazione è davanti a un doppio cortocircuito. Da una parte giornalisti e media non possono entrare nella Striscia per documentare quanto sta succedendo, perché è loro impedito, dall’altra le immagini choc che i reporter palestinesi, gli unici rimasti sul campo, rimandano di continuo sui circuiti internazionali, tolgono il fiato.

Siamo entrati in una nuova stagione: quella della desensibilizzazione, in cui assistiamo alla consunzione delle parole, che non bastano più, non servono più se un volto, un corpo, un cadavere spiega già tutto. Mai avremmo pensato, in questa fase storica, che l’informazione sarebbe stata posta di fronte a bimbi uccisi perché affamati, colpiti perché in fila per chiedere cibo. Sembra impossibile, ma proprio per questo, adesso siamo chiamati a trovare un linguaggio nuovo. In questo senso, la comunicazione può essere una medicina salvavita: per quante riserve possiamo avere sul sistema dei media, chi mai avrebbe potuto accompagnarci nella cognizione del dolore se non chi può ancora raccontare dal vivo questi drammi?

Tanti reporter hanno pagato questa missione col prezzo della vita…

C’è una colpa culturale enorme di Israele, a mio parere: quella di aver deciso che i media sono pericolosi nel racconto della realtà. È la prima volta che un governo che si autodefinisce democratico racconta con giubilo che si stanno salvando vite di palestinesi perché si inviano pacchi alimentarli per sfamarli. Mi chiedo come faccia la società civile israeliana, che pure ha mostrato forte dissenso verso Netanyahu, a tollerare un sistema informativo così falsificante.

Come ritrovare un filo di verità nel caos?

Innanzitutto, va detto che dietro a tutto questo non può non esserci una strategia. Si sta cercando di trovare un equilibrio nel terrore, ma alla fine si alimenterà soltanto altro odio e nuovo terrorismo. È traumatico che tutto ciò, ovvero il peggio dell’estremismo, arrivi su entrambi i fronti da formazioni politiche che si rifanno a principi religiosi. Chiamare in causa Dio per giustificare comportamenti aberranti è antireligioso.

Gaza nel frattempo è diventata, nella manipolazione dei video deep fake, la riviera dei futuri miliardari, che banchettano nelle immagini create grazie all’intelligenza artificiale in quegli stessi posti in cui oggi si sparge il sangue degli innocenti. Come non accorgersi che si tratta oltreché di un’offesa alla dignità e al buon senso, anche di un clamoroso autogol comunicativo?

L’effetto del trumpismo, cui si deve l’ispirazione di quei video creati con l’Ia, è che non peggiora solo la comunicazione. Peggiora anche la società, perché dà voce a quella parte del sistema politico e dell’opinione pubblica più schierata, che considera il cantico tragico della perdita di umanità alla stregua di una favoletta. Questa costruzione mediatica è destinata a far danni per lungo tempo. Chi mai potrà andare in vacanza in un luogo come Gaza, diventato ormai un marchio, un brand che riunisce in sé tutta la solidarietà residua del mondo? Dai giornalisti ai sindacati, fino ai pacifisti e alle organizzazioni non governative, non c’è pezzo del mondo globalizzato che non si senta coinvolto nella battaglia per fermare le atrocità. Pensate a Papa Leone XIV e alla straordinaria postura che ha assunto nel conflitto. La Chiesa ha capito prima di altri che occorre osare, avere coraggio, quasi imprudenza nel chiedere il cessate il fuoco. A proposito: perché nessuno dice, neppure l’Italia, prima i palestinesi?

sabato, luglio 26, 2025

RICORDANDO IL Codice di Camaldoli -

 RICORDANDO IL Codice di Camaldoli - ………. chi erano i firmatari?

I firmatari del Codice di Camaldoli erano un gruppo di intellettuali di fede cattolica che elaborarono il documento in Italia nel luglio 1943. Sebbene non ci sia una lista ufficiale dei firmatari, alcuni dei principali promotori e sostenitori del Codice includevano:

1. Giuseppe Dossetti: Giurista, politico e sacerdote italiano, Dossetti fu uno dei principali autori del Codice di Camaldoli.
2. Amintore Fanfani: Economista, politico e accademico, Fanfani fu un importante esponente della Democrazia Cristiana e contribuì alla stesura del Codice.
3. Luigi Gedda: Giurista e politico, Gedda fu coinvolto nella redazione del Codice e sostenne le sue idee nei circoli cattolici.
4. Giorgio La Pira: Sindaco di Firenze e politico cattolico, La Pira fu un sostenitore attivo del Codice di Camaldoli.
5. Alcide De Gasperi: Fondatore della Democrazia Cristiana e primo presidente del Consiglio italiano dopo la Seconda Guerra Mondiale, De Gasperi condivideva gli ideali del Codice.
Questi intellettuali e molti altri contribuirono a definire la visione sociale ed economica del Codice di Camaldoli, che influenzò l’azione politica della Democrazia Cristiana nell’Italia liberata.

Quali sono i principali punti del Codice di Camaldoli?
Il Codice di Camaldoli, elaborato in Italia nel luglio 1943 da un gruppo di intellettuali di fede cattolica, affronta temi cruciali della vita sociale. 
Ecco i sette punti fondamentali del Codice:

1. Lo Stato: Il documento sviluppa principi per l’organizzazione dello Stato, cercando di superare la concezione corporativa del regime fascista.
2. La famiglia: Il Codice considera la famiglia come un pilastro fondamentale della società.
3. L’educazione: Si riflette sulla necessità di un sistema educativo che promuova valori e formazione integrale.
4. Il lavoro: Il Codice affronta il tema del lavoro, sostenendo la dignità e i diritti dei lavoratori.
5. La produzione e lo scambio: Si discute dell’attività economica, promuovendo una visione mista tra liberismo e collettivismo.
6. L’attività economica: Il documento propone una concezione economica alternativa sia al liberalismo sia al socialcomunismo.
7. La politica internazionale: Si considera il ruolo dell’Italia nel contesto internazionale.

Questi principi-guida hanno influenzato l’azione della Democrazia Cristiana nell’Italia repubblicana, dove il partito fu, per diverse legislature, il maggiore partito di governo3.

….. ricordando il dialogo del Sacro Eremo di Camaldoli nel luglio 1943 ….… lavoriamo insieme per la NUOVA RINASCITA nella PACE successiva al Giubileo del 2025 …