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lunedì, agosto 12, 2019

BENEDETTO CALATI. Il Monaco della libertà.

RECENSIONE
su:
BENEDETTO  CALATI. Il Monaco della libertà.


Un’intervista nascosta di Innocenzo Gargano e Filippo Gentiloni al monaco camaldolese.

Prefazione di Alessandro Barban
(a cura di Raniero La Valle)

Gabrielli Editore, san Pietro in Cariano (Verona 2019)

Questa intervista a padre Benedetto Calati è rimasta nel cassetto per circa venticinque anni. Tempi assolutamente lunghi per come corrono gli anni in questa epoca di post modernità. Se poi si dovesse tener conto che il padre Calati era divenuto nella sua persona una sorta di mito per aver vissuto come pochi altri gli anni del Concilio e del post Concilio, di anni se ne dovrebbero aggiungere certamente altrettanti.
Da qui l’interrogativo ovvio che si porrebbe chiunque. Perché si sente il bisogno di riascoltare un testimone come Benedetto Calati, nonostante tutto?
Una risposta potrebbe nascere dal bisogno che potrebbe avvertire una comunità come Camaldoli di capire meglio se stessa e interrogarsi sui frutti che quella lontana stagione ecclesiale ha potuto produrre in lei, e verificarli.
Ma padre Calati non appartiene solo a Camaldoli. La Chiesa e la società italiana lo considerano anch’esse un testimone importante da riascoltare.
L’introduzione di Raniero la Valle e il fatto che uno degli intervistatori sia stato Filippo Gentiloni, personalità conosciuta nel mondo politico italiano non soltanto perché zio di un recente Capo del Governo italiano, ma anche perché firma prestigiosa di un giornale come il Manifesto che ha fatto storia in Italia, stanno a dimostrarlo.
Padre Benedetto Calati non avrebbe mai immaginato, pur desiderandolo probabilmente tantissimo ai suoi anni, il dono di un Pontefice Romano come Papa Francesco. E non solo questo, ma non avrebbe potuto neppur lontanamente pensare che palazzo Chigi sarebbe stato occupato da Governi come quello attuale. E meno ancora avrebbe potuto immaginare che il problema numero uno in Italia, in Europa e nel mondo, sarebbe stato, dopo appena qualche anno dalla sua morte, quello degli immigrati e quello del risorgere prepotente di un pensiero che avrebbe aggiunto allo sviluppo della secolarizzazione, da lui ritenuta benefica, una pesante ipoteca in più per la Chiesa e per la società..
Egli considerava infatti la secolarizzazione, non il secolarismo, un evento liberante per la Chiesa e per l’autenticità della fede. E non avrebbe visto certamente con occhio favorevole il tentativo contemporaneo, apparentemente vincente, di ritornare ad un passato del quale egli portava personalmente le cicatrici, nel corpo, nella psiche e nello spirito, per ferite lontane. Esse erano state causate in lui già nell’infanzia, sia da malattie gravi nello spirito da parte di uomini di Chiesa, sia dalla povertà estremamente pungente della sua lontana Puglia salentina, sia soprattutto dalla seconda guerra mondiale, vissuta in piena linea gotica con sfollati bisognosi di tutto, ai quali si era pure dedicato con grande generosità, ma con conseguenze delle quali aveva fatto sempre enorme fatica a liberarsi.
Testimonianza viva, davanti agli occhi di tutti erano, per esempio, certe reazioni viscerali che lo caratterizzavano chiaramente quando doveva constatare ipocrisie gravi nella società e nella politica e particolarmente in atteggiamenti della gerarchia ecclesiastica nei quali, almeno secondo ciò che raccontava lui, un certo clericalismo ottuso dettava leggi e comportamentali assolutamente intollerabili perché troppo lontani dalla bella notizia del vangelo.
Da qui la mia personale adesione entusiasta alla possibilità di pubblicare una intervista che io stesso avevo provocato e che nasceva dal desiderio di dare a padre Benedetto la possibilità di proporre una sorta di testamento spirituale da affidare ai suoi confratelli e ai suoi amici, visto il deperimento veloce della sua salute.
Mio e nostro intento in questa intervista era stato quello di provocare padre Benedetto a mettere a nudo, per il bene di tutti, le motivazioni ultime della sua fede e del cammino progressivo di cui soltanto lui poteva parlare, a proposito della sua maturità monastica cristiana, compiuta all’interno di questa nostra Chiesa e della società a lui contemporanea, ma anche all’interno della comunità di Camaldoli.
Come avrebbe reagito - mi chiedo adesso - un uomo di Dio come lui, monaco a tutto tondo e studioso di spiritualità monastica medioevale, a certi movimenti, provenienti dagli Stati Uniti d’America, che tentano di riproporre come modelli di vita forme di monachesimo medioevale, con tanto di riaffermazione della liturgia in latino e in antico gregoriano, ma anche con ritmi di vita e di riproposta  delle forme di ascesi tradizionali, come quelli dell’attuale comunità benedettina internazionale di Norcia, indicata da un autore come Rod Dreher, molto letto in America e adesso anche in Italia, che  propone apertamente quella comunità come il tocca sana revanscista della post cristianità?
Cosa avrebbe detto un Padre Benedetto Calati ad un simile autore, che oggi si direbbe di moda, il quale osserva con tale pessimismo la società attuale da paragonarla al diluvio universale dal quale è convinto che ci si possa difendere soltanto rifugiandosi in fretta e furia nella nuova Arca di Noè, costituita per l’appunto dal modello monastico medioevale riproposto con gli stessi ritmi di vita di allora, con gli stessi schemi di comportamento ascetico, con la stessa musica e perfino con la stessa lingua latina dei secoli passati?   
Quegli stili di vita padre Benedetto Calati li aveva rifiutati con tutto se stesso non per i valori che portavano in sé, ai quali aveva votato generosamente tutta la sua vita, ma per le forme obsolete elevate a norme di santità eroica che avevano prodotto soltanto malattie mentali, oltre che spirituali e fisiche, dalle quali aveva tentato con tutte le sue forze di liberare se stesso e soprattutto le comunità monastiche che lo ascoltavano.
Se avesse dovuto leggere proposte come quelle del libro recentissimo di Rod Dreher, L’opzione Benedetto. Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano (Edizioni San Paolo, 2018) con Prefazione di Marco Sermarini, membro fondatore di una comunità laica di San Benedetto del Tronto fortemente legata alla comunità benedettina di Norcia, credo che padre Calati avrebbe reagito visceralmente in modi molto duri e direi perfino sconcertanti.
L’autore di questo libro, Rod Dreher, che autodefinisce se stesso uomo delle tre conversioni: Metodista, Cattolico, Ortodosso russo, propone di fatto la fondazione benedettina di Norcia come un modello in miniatura di ciò che costituirebbe di fatto, per lui, l’ideale di un movimento cristiano conservatore nato e sviluppato soprattutto negli Stati Uniti d’America, ma col sogno di diventare proposta internazionale capace di coinvolgere l’Europa e il mondo intero.
Infatti definisce diverse volte l’opzione Benedetto come una sorta di rivisitazione del diluvio universale dei tempi di Noè in cui si ritrova la nostra generazione attuale, per cui scrive: “Occorre cessare di impilare sacchi di sabbia e costruire invece un’arca in cui rifugiarsi, finché l’acqua receda e possiamo rimettere piede sulla terra ferma” (p.29).
Proseguendo: “Piuttosto che perdere tempo e risorse combattendo battaglie politiche impossibile da vincere, dovremmo lavorare alla costruzione di comunità, istituzioni e reti di resistenza e resilienza, che possano essere intelligenti e durature e, alla fine, togliere l’occupazione” (ivi).
Quindi spiega: “Nei primi secoli del cristianesimo, la Chiesa sopravvisse e crebbe sotto la persecuzione romana; e successivamente, dopo il crollo dell’impero in Occidente. I cristiani delle epoche successive dovranno imparare da quell’esempio, particolarmente dall’esempio di san Benedetto” (ivi).
Come?
Appunto facendo come Benedetto da Norcia il cui esempio stanno cercando di seguire un gruppetto di monaci benedettini internazionali che si sono autoinvitati nella stessa città natale del monaco medioevale. Essi sono “un piccolo drappello di credenti che rispondono creativamente alle sfide del proprio tempo e spazio e possono raggiungere, incanalando la grazia che scorre attraverso di loro dalla radicale apertura a Dio, incarnandola in un preciso stile di vita” (p.33).
E tutto questo presupponendo un giudizio estremamente negativo sul presente storico: “Stiamo vivendo sotto il dominio dei barbari. I nostri scienziati, i nostri giudici, i nostri principi e i nostri scribi, sono tutti quanti all’opera per demolire la fede, la famiglia, il genere, perfino quel che significa <essere umani>. I nostri barbari hanno barattato le pelli animali e le lance del passato in cambio di vestiti firmati e telefoni cellulari… Il mondo attende senza dubbio un altro san Benedetto…I cristiani, assediati dalle tumultuose onde alluvionali della modernità, attendono qualcuno come Benedetto, che costruisca <arche> capaci di trasportare la fede viva attraverso la crisi di questa età oscura che potrebbe durare secoli…La politica non ci salverà”.
“Invece di tenere in piedi l’ordine attuale, questo nucleo di cristiani ha riconosciuto che il regno di cui sono cittadini non è di questo mondo e ha deciso di non compromettere la propria cittadinanza. Perciò essi intendono mettere in atto una strategia che attinga all’autorità della Scrittura e alla saggezza della Chiesa antica per abbracciare <l’esilio sul posto> e formare una vibrante contro cultura”.
“Essi hanno individuato le tossine del secolarismo moderno e la frammentazione causata dal relativismo, ma hanno anche scoperto una nuova modalità di essere, attinta alla Scrittura e alla Regola di san Benedetto … Piuttosto che farsi prendere dal panico o rimanere indifferenti, questi nuovi monaci hanno capito che il nuovo ordine non è un problema da risolvere, bensì una realtà con cui convivere, imparando ad andare avanti con fede e creatività, con la propria vita di preghiera, adottando appropriati ritmi di vita e costruendo chiese, scuole, istituzioni, quartieri o villaggi  in seno ai quali l’ortodossia della fede possa sopravvivere e prosperare oltre il diluvio””(pp. 35-37).
Leggere certe analisi del mondo e della società contemporanea alla luce della visione del mondo che proponeva invece Padre Calati, si resta fortemente sconcertati, perché si ha l’impressione di essere di fronte ad un’analisi <toto coelo> diversa della nostra contemporaneità.
E’ come se Rod Dreher vedesse le cose dall’altra faccia della luna, restando prigioniero dell’oscurità, là dove invece il padre Calati godeva di scoprire i colori cangianti propri di un riverbero del sole che mette in evidenza luci e ombre presenti nello spazio-tempo del mondo, indicando strade diverse per raggiungere la piena realizzazione dell’umanità.
Così la storia del secondo millennio riceve dal Dreher il marchio di una caduta progressiva verso il nichilismo del fallimento umano, mentre lo stesso millennio veniva letto dal Calati come una via sempre più luminosa verso l’acquisizione piena della libertà evangelica e della felicità voluta da Dio per ogni essere umano.
L’idealizzazione del temporis acti dello scrittore americano, idealista della conservazione ortodossa russa, fa certamente a pugni con ciò che padre Calati considerava un kairòs voluto dallo Spirito, che fa continuamente nuove tutte le cose, per condurre verso la pienezza della realizzazione umana.
La motivazione di questa opposizione durissima di Benedetto Calati alle tesi di Dreher potrebbe essere ritrovata tutta nell’accettazione o meno di un insegnamento preziosissimo di Gregorio Magno, creatore geniale proprio della figura mitica di San Benedetto da Norcia, il quale diceva non soltanto che Divina eloquia cum legente crescunt (le Parole di Dio crescono con chi le legge), ma anche che Quanto mundus ad extremitatem ducitur tanto nobis divinae scientiae adytus amplius aperitur (e cioè: Quanto più il mondo va verso il suo compimento tanto più grande si fa per noi la conoscenza delle cose di Dio).
Non si tratta perciò tanto di conservare il passato, ideale perseguito ad oltranza dal nostro autore americano, quanto piuttosto di aprirsi al futuro proseguendo, nel presente, con la dinamica vitale appresa appunto dal passato stesso.
Da qui la differenza fondamentale della prospettiva dalla quale parte l’<Opzione> Benedetto Calati, concretizzata nella riforma conciliare portata avanti con coerenza a Camaldoli, rispetto alla prospettiva dell’Opzione Benedetto, perseguita a Norcia con la sponsorizzazione del pensiero conservatore (conservative) americano. 
Benedetto Calati offre un’apertura direi proprio gioiosa alla vita che si apre al futuro, perché vede nel presente la persona umana che gode nella sua integrità di corpo anima e spirito in totale riconoscenza a Dio che ha permesso alla Chiesa, e all’intera umanità, di non restare prigioniera delle forme, dei riti e delle leggi del passato per aprirsi al continuamente nuovo dello Spirito. Rod Dreher è preoccupato invece, con la sua Opzione Benedetto da Norcia di conservare, e tramandare con la massima fedeltà possibile, un passato mitico non corrispondente, oltretutto, neppure a ciò che del vero Benedetto da Norcia sappiamo grazie a Gregorio Magno.
E infatti l’autore americano ha dovuto confezionare un suo <Benedetto> costruito a uso e consumo della mentalità <conservative> americana trasformandolo in idolo senza alcun rapporto reale con la storia che conosciamo tutti, grazie appunto al Papa Gregorio Magno che ne parlava inserendolo nel mistero della Historia salutis col suo Secondo Libro dei Dialoghi.
Da qui l’enorme distanza verificabile da parte di chiunque confronti la lettura del patriarca Benedetto, fatta alla luce della società contemporanea da padre Benedetto Calati, con quella proposta e individuata nel <modello Norcia> dall’autore americano.
Gli esempi portati dal Dreher relativi alla vita tradizionale dei Benedettini di Norcia, degli Ebrei ortodossi, dei Mormoni e degli stessi esempi di comunità e famiglie circoscritte alla propria clausura o ai recinti protettivi di chiese, scuole, quartieri, villaggi, imprese lavorative, etc, già sperimentate in Italia, con conseguente protezione perfino fisica, o con tanto di mura a campana di vetro più o meno gratificanti, che fanno davvero a pugni con la solarità delle proposte di padre Calati relative a monaci e laici aperti generosamente alla gioia di vivere, che è possibile verificare nella nostra intervista e nell’esperienza particolare di Camaldoli.
Da qui la domanda: Cosa significherebbe per un monaco come Benedetto Calati, che oltretutto ha dato lezioni universitarie per più di trent’anni sulla spiritualità monastica medioevale, parlare di Opzione Benedetto?
Ma da qui anche la preziosità di ascoltare con estrema attenzione le domande che i due intervistatori fanno ad un monaco di ottanta anni che ha vissuto nell’esperienza monastica per un intera vita.
Al lettore di questa nostra intervista aggiungerei però una raccomandazione: essere estremamente attenti al vocabolario di Padre Benedetto Calati per non fraintenderlo con categorie mentali che possono essere chiarissime per un lettore comune ma che suppongono in lui un contesto che resta altamente teologico e spirituale.
Parlare per esempio di libertà, di obbedienza, di amore, di tradizione, di sacramenti, di riti liturgici, di prassi ascetiche o di istituzioni ecclesiastiche, quando si interloquisce con un uomo di ricchissima esperienza spirituale come padre Calati, può essere assai difficile, se non si tiene conto che il presupposto teologico, umano e spirituale che è sotteso alle sue risposte, non è semplicemente identico a quello del suo ascoltatore o lettore comune contemporaneo.
Parlo ovviamente anzitutto di me, ma credo che altrettanto avrebbe potuto dire l’amico Filippo Gentiloni, se avverto che  certe risposte che padre Benedetto dava con immediatezza a determinate domande, venivano dalle sue viscere, o per meglio dire dal cuore, in cui egli restava sempre in comunione con Dio, più che dalla sua riflessione razionale. 
In certe situazioni ci si poteva sentire perfino eccessivi e indiscreti nel chiedere cose alle quali lui rispondeva con la massima semplicità nonostante che toccassero argomenti assai delicati che lo coglievano nei suoi sentimenti più profondi.
Parlare per esempio con lui di amore, senza tener conto che tutto, nella sua vita, era stato fondato sul principio benedettino del “niente, assolutamente niente, si anteponga all’amore di Cristo”, poteva dare origine a fraintendimenti colossali.
L’amore di cui parla padre Benedetto, anche quando lo esplicita riferendosi perfino al movimento fisiologico che è proprio dell’eros, va sempre capito tenendo conto del contesto mistico di un’esperienza che lui accosta spontaneamente e sistematicamente o a Scolastica, la sorella di Benedetto da Norcia, la quale ottenne di più perché amò di più; oppure alla monaca Santa Geltrude che “faceva l’amore con Gesù all’interno del coro e del canto monastico”.
Qualcosa di analogo accade quando Benedetto Calati parla di obbedienza che accosta sistematicamente alla kenosi del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, all’interno della taxis della comunione trinitaria, per cui ogni altro riferimento gerarchico, inteso come rapporto tra Superiore e inferiore, non aveva alcun significato e, soprattutto, quando tutto questo veniva applicato alle istituzioni ecclesiastiche.
Lo stesso rischio va tenuto presente quando padre Calati parla di relatività del sacramentum rispetto alla res, che suppone il principio solenne di Agostino secondo il quale quando si è stabiliti nella fede, nella speranza e nella carità, non si ha più bisogno neppure delle Scritture, le quali restano soltanto come strumenti posti a servizio dell’insegnamento da trasmettere ad altri. Si tratta infatti solo di pedagogia! Poteva ripetere Padre Benedetto Calati.
Il primato dell’amore in tutto e per tutto, sul quale ama insistere padre Calati, collegandolo sempre alla suprema necessità della libertà che, unica, garantisce l’autenticità dell’amore stesso, è, a sua volta, un principio delicatissimo che non si può in nessun modo strumentalizzare a vantaggio di una legittimazione che porti ad una qualsivoglia ingiustizia nei confronti del più debole in tutti i sensi, o per età o per mancanza di maturazione umana, o per infantilità spirituale, con cui si è stabilita un’alleanza fedele ad oltranza davanti agli occhi di Dio.
L’amore intrecciato di libertà comporta sempre una delicatissima attenzione a chiunque ne dovesse subire scandalo, perché posto di fronte ad un amore <nuovo>, con la conseguenza di sentirsi umiliato o bypassato!
La sensibilità di Benedetto Calati, così come essa traspare dalla intervista che pubblichiamo, non sarebbe mai disposta a mercanteggiare qualunque affermazione della Chiesa del presente o del futuro nei confronti della dignità dell’uomo o della donna contemplati nel loro ineffabile mistero davanti a Dio. E tuttavia restava necessaria, per lui l’attenzione alla indiscutibile debolezza o fragilità di eventuali partners, per i quali occorreva rispettare con delicatezza e scrupolosità una scelta di comportamento non condivisa del tutto dal consigliere spirituale, purché essa fosse stata presa dopo un confronto serio con la Parola di Dio e con l’interpretazione legittima della Chiesa, perché: Ecclesia tenet et legit librum Scripturarum  (cioè: è la Chiesa che ha e legge il libro delle Scritture), nonostante tutto.  
A padre Benedetto non importava mai vincere, o tanto meno stravincere, con nessuno, ma semmai importava convincere in modo squisitamente personale per raggiungere sempre insieme, chiunque fosse il proprio interlocutore, un arricchimento comune nella conoscenza della verità ed eventualmente una altrettanto comune decisione, senza alcun cedimento al complesso di superiorità o di inferiorità nei confronti di chiunque altro, ferma restando sempre la libertà che è propria di ogni figlio di Dio.
Si conosce e si compie sempre tutto in libertà, amore e fraterna concordia, quando si tratta di volontà di Dio.
Ma tutto questo, e il lettore della nostra intervista lo potrà cogliere immediatamente, non indeboliva affatto, anzi rafforzava, in Benedetto Calati, la contestazione di qualunque tipo di imposizione o prevaricazione da parte di chiunque pretendesse giudicare e tanto meno condannare decisioni, prese responsabilmente da un uomo o da una donna, di fronte a Dio e alla Sua Parola all’interno della propria coscienza personale.
Nessuna forzatura dunque, neppure quando si tratta di prendere distanze legittime e necessarie dalle scelte degli altri, e nessuna accettazione di metodi violenti, in modi più o meno subdoli o nascosti, in vista di chissà quale vittoria morale, religiosa, giuridica, politica o economica, svenduta come ut in omnibus glorificetur Deus (perché in tutto sia glorificato Dio), voluto dalla Santa Regola di Benedetto da Norcia.


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