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giovedì, dicembre 08, 2022

La testimonianza. Dominique Lapierre: «La mia Madre Teresa»

@ - Lo scrittore: la prima volta che la incontrai, nel 1981 a Calcutta, mi disse: «La peggior miseria non è la fame o la lebbra, ma essere rifiutato e abbandonato da tutti»

Madre Teresa di Calcutta - archivio

Riproponiamo qui il contributo di Dominique Lapierre, scomparso nei giorni scorsi, al volume di Ruma Bose e del Lou Faust Madre Teresa. Leader per missione edito da Egea nel 2013 e anticipato da Avvenire il 27 dicembre di quell’anno.

Indimenticabile Madre Teresa! Fino al mio ultimo respiro continuerò a vedere la sua silhouette in sari bianco orlato di blu in mezzo alle mitraglie della guerra civile libanese. Teneva in braccio un neonato. Tentava di valicare la frontiera tra i quartieri musulmani e cristiani di Beirut. Nessuno era riuscito a impedirle di esporsi a tal punto. Quando apparve allo scoperto in mezzo alle fucilate, accadde qualcosa di straordinario.

Le mitragliette, i fucili cessarono di sparare. Si sarebbe detto che un’onda di pace si diffondesse all’improvviso sul campo di battaglia, mettendo a tacere l’odio e la follia degli uomini. Nessuna scena, ai miei occhi, esprimerà mai con tanta forza l’insostituibile carisma della beata di Calcutta come questa apparizione magica su uno dei più terribili campi di battaglia della sofferenza umana. Quante volte nell’inferno dei quartieri di Calcutta o in quelli, talvolta anche più tragici, del nostro ricco Occidente, ho avuto la fortuna di scoprire gli effetti di questo carisma! All’apparire di Madre Teresa, persone prostrate dalla sfortuna e dalla miseria s’illuminavano subito di un’espressione di felicità, di gratitudine, di fiducia.

Come se la sola presenza di questa donna, che incarnava la carità e l’amore, dissipasse le paure, saziasse le pance vuote, ridesse la speranza. Perché questo era il messaggio unico di Madre Teresa: dire agli uomini che soffrono che sono stati creati dalla mano amorevole di Dio, per amare ed essere amati. Ho avuto la fortuna di scoprire che cosa significasse realmente questo messaggio il giorno stesso del nostro primo incontro, nel 1981. Quel giorno ero in visita alla sua «Casa del Cuore Puro», la prima istituzione che Madre Teresa aveva creato per soccorrere i moribondi di Calcutta, abbandonati nelle strade.

Stava lavando le ferite di un uomo ancora giovane, così scheletrico da sembrare un morto vivente. Tutta la sua carne era come fusa. Rimaneva solo la pelle, tesa sulle ossa. Madre Teresa gli parlava con dolcezza in bengali. Non dimenticherò mai lo sguardo di quell’infelice. La sua sofferenza si trasformava poco a poco in sorpresa, poi in pace, la pace di qualcuno che, all’improvviso, si senta amato. Indovinando una presenza dietro di lei, la religiosa si voltò.

Mi sentii terribilmente imbarazzato: arrivavo a interrompere un dialogo di cui percepivo l’unicità. Mi presentai. Madre Teresa chiamò un giovane volontario europeo che passava nel vialetto, con in mano una ciotola. «Amalo – gli ordinò, la mano posta sulla fronte dell’infelice –. Amalo con tutte le tue forze». Rivestì il giovane uomo con la sua biancheria e i suoi fermagli, si alzò e mi fece segno di seguirla verso il piccolo atrio che separava la sala degli uomini da quella delle donne. Là c’era un tavolo con un banco e, al muro, un quadro con un testo calligrafo in inchiostro nero. «La peggior miseria non è la fame o la lebbra – disse – ma la sensazione di essere indesiderabile, rifiutato, abbandonato da tutti».

Queste poche parole riassumono ai miei occhi il valore universale dell’opera di Madre Teresa. Per lei, i poveri non erano solo i milioni di persone che nel mondo hanno fame di pane e di riso. I poveri erano R anche i milioni di esclusi, di rifiutati, di abbandonati, di intoccabili, di senza famiglia che hanno innanzitutto sete d’amore, di dignità, di pace, di verità, di giustizia, di speranza; che non sanno più sorridere perché non ricevono mai il calore di uno sguardo o di una mano fraterna.

A coloro che nel 1979 le assegnarono il premio Nobel per la Pace, a tutti coloro che, nel corso della sua lunga vita, la coprirono di onori e riconoscimenti per la sua azione umanitaria, Madre Teresa non cessò mai di ripetere che «la più terribile delle malattie che possa mai colpire un essere umano è di non avere nessuno vicino a sé per essere amato. Senza un cuore pieno d’amore e delle mani generose è impossibile guarire un uomo malato di solitudine».

Ed è nel ricco Occidente che Madre Teresa aveva scoperto manifestazioni di questa solitudine. Un giorno, ai giornalisti che la intervistavano dopo il suo incontro con la regina di Inghilterra, disse: «Stasera ho camminato per le vostre vie. Sono entrata nelle vostre case. Vi ho trovato una povertà più grande che da noi, in India: la povertà dell’anima, la mancanza d’amore». ndimenticabile Madre Teresa! Mi sono spesso domandato dove prendesse quella forza indomabile che, fino al suo ultimo respiro, le fece percorrere il mondo per offrire la dedizione e la qualità d’amore delle sue piccole Missionarie della Carità alle persone in pericolo. Non dormiva che 4 ore per notte e per cibo si accontentava di una o due banane e di un piatto di riso. La sua forza veniva da altrove. Tutta la sua azione, tutta la sua opera trovavano questa forza nella vibrante relazione di fede e di amore che l’univa a Cristo.

«È Gesù che ho incontrato nei buchi neri delle bidonville – diceva , Gesù il Dio uomo nudo sulla croce». Questa convinzione Madre Teresa non smise mai di instillarla come un tesoro nel cuore di ciascuna delle sue 4500 piccole sorelle, la inculcò nei milioni di «cooperanti» volontari che sostenevano la sua crociata, la offrì e tutti noi ogni volta che ci ricordava che nel momento della nostra morte «saremo giudicati per la nostra capacità di riconoscere il Cristo in ogni uomo che soffre». Da qui l’appello che Madre Teresa rivolgeva instancabilmente ai poveri come ai ricchi, ai giovani e ai loro anziani, «affinché ciascuno di noi offra la sua mano per servire Cristo in ognuno dei suoi poveri, e apra il suo cuore per amarlo in loro».

Indimenticabile Madre Teresa! I suoi discorsi di fronte alle platee più diverse, la sua confidenza con le più grandi celebrità del pianeta (la sua ultima foto, a qualche settimana dalla morte, per mano a Diana resterà per me una delle sue immagini più commoventi), i suoi interventi su tutti i luoghi di tragedia, avevano finito per donare a un’umanità inquieta la certezza che la generosità e la solidarietà possono vincere il cinismo, che è possibile restituire agli uomini la fiducia in se stessi. Sì, indimenticabile Madre Teresa! La ricchezza del suo amore la sua compassione senza limiti, la sua capacità magica di recare l’aiuto più efficace nelle situazioni più disperate, continueranno a guidare i suoi ammiratori e i suoi discepoli sul cammino difficile della carità.

A Calcutta e in tutti i luoghi di sconforto del terzo mondo, ma anche a Melbourne, Roma, Londra, Detroit, Marsiglia, Rio, Chicago, Los Angeles, Parigi, l’infaticabile servitrice dei poveri del Vangelo aveva offerto case d’accoglienza, dispensari medici, mense dei poveri. Una delle mie sorprese maggiori fu scoprire, un mattino, la foto della beata di Calcutta praticamente su tutti i giornali newyorkesi. Aveva appena inaugurato, nel pieno centro di un quartiere «caldo» di Manhattan, un punto di accoglienza per le vittime senza risorse né famiglia di un nuovo male peggiore della lebbra e del rifiuto dei moribondi di Calcutta: l’aids. Madre Teresa aveva dato a questo stupefacente luogo di accoglienza il bel nome di «Dono d’amore».

Era andata personalmente a cercare i primi tre «pensionanti» dietro le sbarre del penitenziario di Sing Sing dove si trovavano 250 detenuti colpiti dalla terribile malattia. Chiese la loro scarcerazione al sindaco di New York. «Trovatemi una fattoria in qualsiasi posto e io li ospiterò – disse perorando la loro causa –. Non ho forse già raccolto 178.000 lebbrosi in India in questo momento?».

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