"Ho ricevuto la lettera della santità tua scritta con la penna della sola carità. La lingua attingeva dal cuore ciò che riversava sulla carta (Sanctitatis tuae suscepi epistulam solius caritatis calamo scriptam. Ex corde enim lingua tinxerat quod in cartae pagina refundebat). Erano presenti alla lettura della tua lettera uomini pieni di bontà e di sapienza e le loro viscere furono toccate subito da grande commozione. Ciascuno prese a rapirti nel suo cuore con la mano dell'amore, poiché in quella lettera non ascoltavano ma vedevano la delicatezza del tuo cuore (Coepit quisque amoris manu in suo corde te rapere, quia in illa epistula tuae mentis dulcedinem non erat audire sed cernere). Tutti erano accesi (accendebantur) e si meravigliavano, ma proprio l'ardore (ardor) degli ascoltatori dimostrava quanto fosse stato ardente il fuoco (ignis) di chi aveva dettato quella lettera. Le fiaccole non accendono nulla se prima esse stesse non ardono (Nisi enim prius in se faces ardeant, alium non succendunt). Abbiamo constatato così di quanto amore dovesse ardere il tuo cuore, dal momento che incendiava così tanto quello degli altri. (Ibi ergo vidimus quanta caritate tua mens arserit, quae sic et alios accendit). Chi ascoltava la tua lettera non conosceva nulla della tua vita, di cui io mi ricordo invece sempre con venerazione, ma la grandezza del tuo cuore traspariva dall'umiltà delle tue parole (altitudo vestri cordis patuit ex humilitate sermonis)".
(Lettere, IX, 228. Città Nuova Editrice, Roma 1998, p. 489).
Diciamo la verità: quanti di noi si aughererebbero di saper scrivere come questo grande vescovo di Siviglia tanto caro, e ne aveva i motivi, a Gregorio Magno!
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