"Un soffio leggero sfiorò la mia
faccia (Gb 4,15). Un soffio leggero passa davanti
a noi quando conosciamo le cose invisibili, che tuttavia non vediamo
completamente, ma di sfuggita. L'anima infatti non rimane a lungo nella soavità
dell'intima contemplazione, perché, folgorata da quell'immensa luce, è
richiamata a se stessa (Neque enim in suavitate contemplationis ipsa
immensitate luminis verberata revocatur). Quando gusta l'intima dolcezza,
arde di amore e si sforza di andare sopra di sé, ma sfinita ricade nelle
tenebre della sua debolezza (Cumque internam dulcedinem degustat, amore
aestuat, ire super semetipsam nititur, sed ad infirmitatis suae tenebras fracta
relabitur)... Il soffio leggero quindi non si ferma, ma passa, perché la
nostra contemplazione rivela la luce divina se aneliamo ad essa, ma la nasconde
quando ci trova deboli (Non ergo stat sed transit spiritus, quia supernam
lucem nostra nobis contemplatio et inhiantibus aperit et mox infirmantibus
abscondit)".
Commento morale a Giobbe, I, V, 58. Città Nuova Editrice/1, Roma
1992, p. 443.
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