"Quando lo
sguardo divino ci illumina, ci manifesta anche i segreti della nostra mente (dum
nos gratia superni respectus illuminat, cuncta etiam mentis nostrae nobis
absconsa manifestat)...donandoci un certo gusto della divina rivelazione (sapor
intimae contemplationis). Lo stesso Redentore... reintegra l'uomo nello
stato originario attraverso l'intelligenza...e mentre si trova in questo stato,
rapita dalla dolcezza, spesso egli le fa assaporare la contemplazione (in
dulcedinem supernae contemplationis rapitur) lasciandole già intravedere
nell'oscurità qualcosa dell'intimità divina che le accende il desiderio di
partecipare alla vita degli angeli (iamque de intimis aliquid quasi per
caliginem conspicit et ardenti desiderio interesse spiritalibus angelorum ministeriis
conatur). Godendo del gusto della luce infinita, e sentendosi elevata al di
sopra di sé, disdegna allora di ricadere in se stessa (ultra se evecta ad
semetipsam relabi dedignatur), ma siccome il corpo corruttibile la
appesantisce ancora, non riesce a rimanere a lungo unita alla luce, perché la
vede soltanto per un attimo (sed inhaerere diu luci non valet quam raptim
videt)".
Commento morale a
Giobbe, II, VIII, 49-50,
Città Nuova Editrice/1 Roma 1992, p. 663.
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