"Sappiamo che quelli che sono in alto spesso esigono dai sudditi un ossequio indebito (Saepe novimus quod plerique qui praesunt inordinatum sibi metum a subditis exigunt) e vogliono essere onorati, non tanto per il Signore quanto al posto del Signore (et non tam propter Dominum quam pro Domino venerari volunt). Dentro il loro cuore si esaltano e disprezzano tutti quanti i sudditi: non si abbassano per pensare a loro, ma li opprimono dominandoli, appunto perché si ergono con alterigia e non si riconoscono uguali a coloro che hanno la sorte di guidare (Intus enim se tumore cordis extollunt, cunctosque subditos in sui comparatione despiciunt, nec condescendendo consulunt, sed dominando premunt)".
Commento morale a Giobbe, V, XXIV, 52. Città Nuova Editrice/3, Roma 1997, p.393.
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