"Rientrando in me stesso, lasciate da
parte le foglie delle parole e i rami dei pensieri, se guardo attentamente alla
radice della mia intenzione, riconosco sì che essa era soprattutto di piacere a
Dio, ma in tale retta intenzione, con cui cerco di piacere a Dio, s'infiltra
furtivamente, non so come, la ricerca della lode degli uomini... .Confessiamo
dunque che alla nostra retta intenzione di piacere a Dio solo, alcune volte
insidiosamente si accompagna l'intenzione meno retta che cerca di piacere agli
uomini con i doni di Dio....Ma credo che a me convenga rivelare senza
esitazione all'orecchio dei miei fratelli tutto ciò che scopro di nascosto.
Come nel commento non ho nascosto ciò che pensavo, così nella mia confessione
non nascondo ciò che mi affligge (quia enim esponendo non celavi quod sensi,
confitendo non abscondo quod patior): con il commento ho manifestato i
doni, con la confessione scopro le piaghe (per expositionem patefeci dona,
per confessionem detego vulnera)"
Commento morale a Giobbe, VI, XXXV, 49. Città Nuova Editrice 1/4,
Roma 2001, pp.603-605.
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