"Nessuno, nella Chiesa, compie un male maggiore di chi si comporta in modo disonesto, pur essendo insignito di un nome e di un ufficio che comportano la santità...Se dunque qualcuno, posto in condizione che esige la santità, rovina gli altri con la parola o con l'esempio, sarebbe stato meglio per lui svolgere compiti mondani sino alla fine e in abito secolare, anziché assumere uffici sacri e diventare, a motivo di colpe, cattivo esempio per gli altri".
Regola pastorale I, 2. Città Nuova Editrice, Roma 2008, p. 15.
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