"Quando siamo colpiti dal flagello della disciplina per le colpe commesse e con la penitenza le deploriamo piangendo (Cum vero pro malis quae fecimus, disciplinae flagello atterimur, et haec per paenitentiam deflemus, iniquitatem nostram signat et curat), allora Egli sigilla la nostra iniquità e la guarisce, perché non la lascia impunita in questo mondo e non la riserva alla punizione del giudizio (nec in iudicio punienda reservat). Sigilla quindi le nostre colpe, perché le osserva minuziosamente e le colpisce e tuttavia simultaneamente le guarisce perché, colpendole, le rimette del tutto (Signat igitur delicta quia ea hic subtiliter attendit ut feriat; curat vero quia haec per flagellum funditus relaxat)".
Commento morale a Giobbe, III, XII, 21. Città Nuova Editrice/2, Roma 1994, p. 271.
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