Buon Natale 2015
Agli amici del blog
TESTI E MASSIME DI GREGORIO MAGNO
PAPA
Riflettendo sull’admirabile
commercium di cui parlano i testi liturgici della Chiesa in questi giorni
natalizi mi sono sorpreso nel ricordare la particolare predilezione di alcuni Padri della Chiesa,
come Ippolito, Origene, Gregorio di
Nissa e tanti altri, per il Cantico dei
Cantici, a partire soprattutto dallo sconvolgente: Mi baci con i baci della sua bocca di Ct 1,2, su cui il medioevo latino di san Bernardo di Chiaravalle,
per esempio, e di alcuni suoi discepoli cistercensi, si piegava fino
all’esagerazione. Ma già la tradizione mistica ebraica, commentava Ct 1,2 riferendosi ad una intimità
sconvolgente tra l’uomo e Dio dichiarando che <Il Signore, parla faccia a faccia con noi, come chi bacia qualcuno>[1].
Risale al XIII secolo come testimonianza scritta, ma presente
almeno un millennio prima come testimonianza orale, una pagina del libro dello Zohar che amo leggere ai miei studenti
all’inizio delle mie lezioni al Pontificio Istituto Biblico di Roma sulla
storia dell’ermeneutica patristica, che accosta la frequentazione del libro
della Torà, da parte del sapiente
ebreo, alla frequentazione delle grate/finestre dell’amata da parte
dell’amante, che è onnipresente nei commentatori cristiani del Cantico dei
Cantici sia pure con lo scambio del maschile col femminile.
Scrive lo Zohar: “La Torà rivela i suoi segreti nascosti
soltanto agli innamorati di lei. Ella sa che chi è sapiente nel cuore frequenta
quotidianamente le grate della sua casa. E cosa fa allora? Essa mostra il suo
volto dal palazzo mandandogli un segnale d’amore, ma subito ritorna di nuovo
nel suo nascondimento. Nessuno si rende conto del messaggio se non lui, ma con
quel segnale il cuore e l’anima e tutto ciò che è in lui sono sconvolti da lei.
Così la Torà rivela il
suo amore agli innamorati di lei per risvegliare in loro una nuova tensione di
amore. Questa è la strada della Torà …
Quando l’amante si
avvicina a lei, essa comincia a parlargli dal di dietro del velo che gli ha
frapposto davanti con parole adeguate alla sua capacità di capire in modo da
farlo progredire passo dopo passo …
Poi gli parla dal di
dietro dell’intreccio di un velo più sottile discorrendo di enigmi e di
parabole …
E quando infine le
diviene familiare gli mostra finalmente se stessa faccia a faccia e gli confida
tutti i suoi misteri indicandogli una per una le strade segrete dell’amore che
aveva custodite gelosamente nel cuore”.[2]
Origene suppone certamente questo stesso contesto, ovviamente
trasportato in ambiente cristiano, quando introduce il suo commento al Cantico dei Cantici scrivendo:
“Tutti gli altri
cantici sembrano essere stati cantati alla sposa quando era ancora troppo
giovane e non arrivata all’età dell’amore. Questo cantico invece le è stato
cantato quando, ormai valida e adulta, e dunque adatta ad accogliere la
capacità generativa dell’uomo e il mistero perfetto dell’amore.
Perciò si dice di lei
che è l’unica colomba perfetta. Infatti sposa perfetta di sposo perfetto
accoglie una dottrina perfetta”.[3]
La parentela con la tradizione ebraica testimoniata dallo Zohar è ancora più evidente quando il
presbitero Origene commenta il versetto di Ct
2,9b < Ecco egli sta dietro il nostro
muro; guarda dalla finestra, spia dalle inferriate>, scrivendo:
“La sposa apprende che
in questa casa, che è la Chiesa del Signore vivente, c’è anche una cantina di
quel vino che fu prodotto insieme dai torchi santi, vino non solo nuovo, ma
anche vecchio e dolce, rappresentato dalla dottrina della legge e dei profeti.
Sufficientemente esercitata su questi testi, essa accoglie adesso in sé colui
che era in principio presso Dio, il Verbo che è Dio: egli però non resta sempre
con lei…ma talvolta la viene a visitare, talvolta l’abbandona, affinché essa lo
desideri di più…Egli sta presso (o dietro) la parete in maniera da non essere
né del tutto nascosto né del tutto visibile. Infatti il Verbo di Dio…non si
rivela all’aperto ma al coperto e quasi nascosto dietro la parete…Infatti non
manifestandosi ancora a lei in maniera evidente e completa, ma quasi guardando
attraverso la rete, l’esorta e la spinge a non starsene oziosa all’interno, ma
ad uscire fuori per cercare di vederlo non più attraverso grate e finestre o
come attraverso specchi ed enigmi, bensì venendo fuori per stargli di fronte
faccia a faccia”.[4]
Il maestro di Alessandria lega a tal punto l’importanza di
questa intimità con la Parola da far consistere il suo servizio di presbitero
proprio nell’educazione del popolo a sperimentare la stessa intimità con la
Parola che risulta dalla sua predicazione. Raccomanda, per esempio, con la
tenerezza di un Padre, ai suoi uditori che ha saziato con l’acqua viva dei
pozzi scritturistici scavati con l’impegno straordinario del suo studio
personale: “Sicut in Ecclesia didicisti,
tenta et tu bibere de fonte ingenii tui” (Come ti è stato insegnato in
Chiesa tenta anche tu di bere attingendo alla fonte del suo stesso spirito).
Per ciò che lo riguardava personalmente Origene stesso aveva
scavato per ben tre volte nel pozzo misterioso dello stesso libro del Cantico dei Cantici – da giovane da maturo e da anziano - e
aveva compreso, come più tardi succederà anche a Gregorio Magno, la sovrana
libertà che suppone l’intimità con la Parola sia da parte di Dio che da parte
dell’uomo.
Infatti è proprio dell’amore nascere dalla libertà, nutrirsi
di libertà e confluire nella libertà. Consapevole di questo, perché lo ha già
sperimentato ripetutamente nella sua vita personale, Origene può scrivere
perciò, attingendo all’esperienza, su Ct 1,2:
Mi baci con i baci della sua bocca:
“Come per la chiesa la
dote (del matrimonio) è consistita nei libri della Legge e dei Profeti, così
per quest’anima (che è la sposa del Verbo) devono essere considerati doni
dotali la legge naturale, la facoltà razionale e la libertà del volere. Ma
poiché con questi doni non è pieno e perfetto l’appagamento del suo amore e del
suo desiderio, essa prega che la sua mente pura e verginale sia illuminata
dalla presenza e dalla luce dello stesso Verbo di Dio.
Allorché infatti nessun
servizio di uomo o angelo riempie la sua mente di sentimenti e pensieri divini,
allora essa crede di aver ricevuto proprio i baci del Verbo di Dio. Per tali
baci dice la sposa (anima) pregando Dio:
(Ct 1,2).
Infatti finché l’anima
fu incapace di accogliere la pura e solida dottrina comunicata direttamente dal
Verbo di Dio, necessariamente essa accolse baci, cioè concetti, dalla bocca dei
maestri. Ma quando da sé sola ha cominciato a scorgere ciò che era oscuro, a
snodare ciò che era intricato, a risolvere ciò che era involuto, a spiegare con
conveniente interpretazione le parabole, gli enigmi e le sentenze dei sapienti,
allora sia convinta ormai di aver ricevuto i baci direttamente dal suo sposo,
cioè dal verbo di Dio.
E si parla al plurale
di baci proprio perché noi comprendiamo che l’illuminazione di ogni concetto
oscuro è un bacio che il Verbo di Dio dà alla sposa (anima) perfetta, come dice
il Salmo: (Ps 118/ 119,
131) …
Questo è il più vero
proprio e santo bacio che lo sposo, il Verbo di Dio, rivolge alla sposa …
Immagine di questo è il bacio che nella chiesa ci scambiamo gli uni con gli
altri, allorché celebriamo i misteri.
Perciò ogni volta che
nel nostro cuore scopriamo, senza bisogno di maestro, qualcosa che ricercavamo
sulle dottrine e sugli argomenti divini, altrettanti baci crediamo che ci siano
stati dati dallo sposo, il Verbo di Dio.
Quando invece
ricerchiamo qualcosa sulle dottrine divine e non riusciamo a scoprirlo, allora
fatto nostro il senso di questa preghiera, chiediamo a Dio la visita del suo
verbo e ripetiamo insistentemente: .
Infatti il Padre conosce la capacità di ogni anima e sa a quale anima, quali
baci del Verbo, a suo tempo, debba porgerle, nella mente e nel cuore ”[5].
Gregorio di Nissa spiega, a sua volta, che chi si vuole
impegnare seriamente nella ricerca dei significati puri della sacra Scrittura[6],
bisogna che faccia l’esperienza del del Verbo.
Ma aggiunge precisando: “Il
del Verbo è possibile riceverlo solo se ci si pone alla
di Cristo. Infatti il è un dono di purificazione
riservato unicamente ai discepoli del Signore. Caratteristica della sequela è
poi l’ascolto assiduo della parola del Signore che rende parenti stretti di
Lui. Infatti come il purifica (katharsion) da ogni tipo di sozzura, così l’ascolto
vitale della Parola è dono di parentela (syggeneia). Per cui quanto più si intensificano la sequela, la catarsi e
l’ascolto, tanto più crescono anche le capacità nutritive di chi ha il dono
dell’insegnamento. Così si affinano, migliorando, i contenuti dell’insegnamento
stesso”[7].
Commentando il versetto di Ct 4,3: , lo stesso Gregorio di Nissa scrive: “Quando tutta la chiesa diventa con sinfonia nel bene un solo labbro e
una sola voce, si imbellettano anche le labbra con il rossetto. Si tratta
allora di una duplice esposizione della bellezza. Il testo non dice
semplicemente che le labbra sono un filo, ma aggiunge anche il fiore della
bella coloritura in modo che la bocca della Chiesa – che è il presbitero - sia
abbellita dall’una e dall’altra cosa … Da queste due cose è completato infatti
il decoro delle labbra della Chiesa. Realtà che si determina quando da una
parte prorompe luminosa la confessione della retta fede e dall’altra l’amore si
intesse con la fede (kai ē agapē tē pistei symplekētai) …Il filo rosso delle labbra è infatti la fede intrecciata con l’amore”[8].
Il modo con cui “i didaskaloi (presbiteri), attraverso i quali parla la
bocca della Chiesa, possederanno il dono del è dunque
quello di crescere nella purezza del cuore ”[9].
Spiega ulteriormente Gregorio:
“Il Logos bussa alla
porta dell’intelligenza per mezzo di quella parziale conoscenza che è data
nelle insinuazioni e negli enigmi (en hyponoiais kai ainigmasin), quasi dicesse: e insieme
indicasse il modo come aprire la porta, offrendo le chiavi adatte ad aprire ciò
che è stato racchiuso. Le chiavi però, che aprono le cose nascoste, sono le
spiegazioni dei quattro attributi della sposa del Cantico dei Cantici e cioè: adelphē,
plēsion, peristerà, teleia. Se infatti
vuoi, dice il Logos, che ti sia aperta la porta, pur restando vergini le porte
dell’anima tua, affinché entri il re della gloria, bisogna che tu diventi
sorella mia, avendo fatto aderire all’anima i miei comandamenti secondo
l’affermazione del vangelo, quando dice che diventa fratello suo e sorella
colui che vive nei suoi comandamenti. Bisogna poi che tu ti accosti (proseggisai) alla verità così da esserle perfettamente
prossimo, in modo tale da non estraniarti da lui in alcun modo; devi avere
infine la perfezione della colomba, il che significa essere perfetto in tutto e
cioè essere pieno di innocenza e di purità. Avendo preso questi nomi o
attributi, come fossero delle chiavi, apri pure con essi l’ingresso alla
verità, perché sei divenuto sorella, prossima, colomba, perfetta”[10].
Testi come questi appena citati credo che potrebbero aiutarci
molto a capire il senso di quell’admirabile commercium, cui si accennava
all’inizio con riferimento al mistero del Natale che: da una parte mette tutti
di fronte all’incanto di un evento straordinario di amore tra il cielo e la
terra; e dall’altro ci sbattono con le spalle al muro per l’assurdo crudele di un cuore tristo, di pietra, incapace
di commuoversi di fronte a centinaia di esseri umani, e di bambini soprattutto,
che tentano invano di passare il mare per raccogliere le briciole almeno che
cadono dalle nostre tavole per saziare la fame, fuggendo da guerre e distruzioni terribili senza via di scampo.
[1]
Guido Innocenzo Gargano, Il sapore dei
Padri della Chiesa nell’esegesi biblica. Introduzione a una lettura sapienziale
della Scrittura, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2009, p. 31.
[2]
Testo in:
Il sapore, o.c., pp.34-35.
[3]
Testo in: Il sapore, o.c., p.38.
[4]
Testo in: Il sapore, o.c.,
pp.123-124.
[5]Origene,
Commento al Cantico dei Cantici 1,2.
Libro I, Traduzione introduzione e note a cura di Manlio Simonetti, Città Nuova
Editrice, seconda edizione, Roma 1982, pp. 76-77.
[6]
Cfr Langerbeck H, GNO, VI, Omelie sul
Cantico dei Cantici I, Editore Langerbeck H, GNO, VI, p.32.
[7]
Cfr Guido Innocenzo Gargano, La teoria di
Gregorio di Nissa sul Cantico dei Cantici. Indagine su alcune indicazioni di
metodo esegetico, OCA 216, Roma 1981, pp.202-203.
[8] Langerbeck, o.c., pp. 228-229.
[9] Langerbeck H., o.c., p.227. Cfr La
Teoria, o.c., pp.193-208.
[10]Omelie sul Cantico dei Cantici, XIII,
Langerbeck H, GNO, VI, p.324. Cfr anche: La
teoria, o.c., pp.210-221
Nessun commento:
Posta un commento